La prima flessione nei sondaggi di Fratelli d’Italia è troppo piccola per avere valore statistico: quello 0,7 di calo che porta il partito di Giorgia Meloni non è indicativo in rilevazioni con margine d’errore del 3 per cento.

Ma queste prime settimane di governo hanno rivelato un problema più grave ed evidente del centrodestra al potere: è stato contagiato dallo stesso virus che sta portando il Partito democratico a una lenta agonia.

Il problema del Pd, che gli ha fatto perdere quasi 7 milioni di voti in 15 anni, deriva dall’incapacità di arrivare a una sintesi tra le culture politiche che lo compongono.

Postcomunisti ed ex democristiani non sono mai arrivati a elaborare qualcosa di nuovo, ma si sono spartiti una torta comune di potere e poltrone attraverso le correnti.

Così il centrodestra di governo attuale: c’è la destra legge e ordine (con i poveracci, non con i corrotti) di Fratelli d’Italia che vuole difendere l’ergastolo ostativo, poi l’anima garantista (sempre soltanto con politici e colletti bianchi) che vuole depotenziare le intercettazioni pensando a quello che finisce sui giornali; c’è la difesa della “nazione” e la spinta per spaccare il paese con l’autonomia differenziata; la difesa della famiglia e la privatizzazione del welfare, la vicinanza al popolo e alle periferie e la flat tax per favorire commercialisti ed evasori ad alto reddito…

Non esiste un punto comune o una capacità di condensare spinte diverse in qualcosa di coerente e compatto, dunque il governo sbanda qua e là, un giorno annuncia un nuovo reato di rave abusivo che autorizza a intercettare ragazzini sballati e il giorno dopo promette di limitare l’abuso di intercettazioni e così via.

Non è sempre stato così, il primo centrodestra berlusconiano aveva costruito un equilibrio basato su spinte opposte: la Lega difendeva gli interessi del nord, Alleanza nazionale quelli del centrosud, Forza Italia mediava in una direzione anarco-liberista. Anche la fase a egemonia leghista, diciamo 2013-2019, si fondava su una sintesi: Matteo Salvini aveva trasformato un partito territoriale e federalista in una forza nazionale e populista che assorbiva e superava le istanze dei concorrenti. Per un po’ ha funzionato.

Giorgia Meloni ha cercato di trasformare Fratelli d’Italia in un catch-all-party, un partito pigliatutto capace di attrarre un elettorato trasversale.

Ma non ha il controllo della coalizione, e non ha neppure un partito strutturato per fare sintesi di posizioni diverse e gestire il dissenso: chi non sostiene il capo (la capa?) non esiste, vedi l’antico mentore Fabio Rampelli privo di ogni incarico.

La destra di Meloni non è il crogiuolo di una nuova egemonia conservatrice, ma la replica sul fronte opposto degli errori fatti dal centrosinistra negli ultimi vent’anni.

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