Alla festa per i dieci anni di Fratelli d’Italia che inizia oggi a piazza del Popolo c’è un convitato di pietra, che non ha ancora nè un volto nè un nome e proprio per questo rischia di essere la prima vera guerra dentro Fratelli d’Italia. Il Lazio, regione simbolo e culla politica di Giorgia Meloni, non ha ancora un candidato governatore per il centrodestra. Secondo la ripartizione tra alleati, il nome spetta a FdI e, secondo i sondaggi, la vittoria è quasi scontata. Eppure, il probabile successore di Nicola Zingaretti ancora non è stato incoronato.

Il perchè ha molto a che fare con gli equilibri interni al partito della premier e proprio in queste difficoltà contano di incunearsi gli alleati di Lega e Forza Italia.

I nomi

Secondo gli annunci della vigilia, il nome del candidato doveva essere la proverbiale ciliegina sulla torta durante l’inaugurazione dell’evento trionfale del partito che in un decennio è passato dal 3 per cento alla presidenza del Consiglio.

Invece, è improbabile che i prossimi giorni siano quelli risolutivi per risolvere l’intricata questione interna, che ha due facce: una politica dentro il partito e una di strategia.

Il primo livello è quello partitico. Sulla carta, i candidati di marcio FdI non mancano: tra le donne ci sono Chiara Colosimo, anni di battaglie in regione e oggi deputata e Roberta Angelilli, quattro volte europarlamentare; tra gli uomini girano quelli di Nicola Procaccini, eurodeputato di Latina e Paolo Trancassini, deputato ed ex sindaco di Leonessa (Rieti). In realtà, però, si tratta di piani B, percorribili solo se uscirà dalla rosa il nome più pesante: Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera e uno dei mentori politici della stessa Meloni.

Rampelli, che un mese fa sembrava poco invogliato dalla corsa alla Pisana, si trova oggi in una posizione che forse lui stesso non immaginava. Nessun incarico da ministro, pur dopo aver dato battaglia per ottenere le Infrastrutture, nè di sottogoverno. Solo la conferma del ruolo di vicepresidente, che già ricopriva nella passata legislatura. Per questo, il suo interesse a diventare governatore del Lazio è progressivamente aumentato: i sondaggi lo indicano come facile vincitore e guidare una regione chiave vale come un ministero, soprattutto con FdI al governo. Lui stesso ha fatto capire in tutti i modi di essere pronto, ma qualcosa sta remando contro di lui. «Mica mi posso autocandidare», ha ripetuto in tutte le interviste fino ad oggi. Come a dire: non è il mio sì a mancare, ma la volontà del partito. Proprio questa è, ad oggi, la massima polemica che filtra dalle file di FdI, dove nessuno è disposto a dire una parola su una vicenda delicatissima.

Rampelli, infatti, rappresenta la vecchia guardia dei missini di Colle Oppio, la storica sezione romana in cui si è formata anche Meloni e quella che si è sentita meno gratificata nel successo elettorale. Di più, quella capitanata da Rampelli è l’unica pallida forma di opposizione interna alla leader di un partito senza correnti. Per questo, «candidarlo nel Lazio significherebbe rafforzarlo troppo, perchè gli equilibri politici nazionali di FdI si decidono a Roma e e nel Lazio», dice un dirigente romano.

Fonti di FdI adombrerebbero anche di frizioni personali tra Rampelli e la famiglia Meloni, intesa sia come Giorgia che come la sorella Arianna, ex segretaria di Rampelli oggi potentissima gestrice dell’organizzazione del partito. E, per estensione, anche con il ministro dell’Agricoltura e marito di Arianna, Francesco Lollobrigida. Chi collabora con il ministro nega qualsiasi ostacolo alle ambizioni di Rampelli. Lollobrigida è tutto proiettato nella sua dimensione ministeriale, impegnato in particolare a portare a casa risultati in Europa. Proprio nei giorni scorsi era a Bruxelles e ha ottenuto accordi sul settore della pesca e gli impegni attuali lo porterebbero lontano dalla spinosissima questione della Pisana.

Tutti i segnali, però, indicano che i dubbi sul nome di Rampelli arrivano direttamente dalla premier. «È tornata sull’opzione civica», dice un dirigente romano. Ovvero il nome di Francesco Rocca, avvocato romano e presidente della Croce Rossa italiana, già preso in considerazione anche per il ministero della Salute.

Il ragionamento politico è induttivo. Le regionali del Lazio si decidono con i voti di Roma, che valgono i due terzi del totale, quindi un candidato di altre province – come Trancassini o Procaccini - partirebbe azzoppato. Il candidato di Roma, però, è Rampelli e farlo scavalcare da un altro dirigente sarebbe uno sgarbo difficilmente perdonabile. Di conseguenza, l’opzione civica sarebbe la più facile da percorrere. Con una controindicazione, però: proprio questa strada è stata battuta (sempre a scapito di Rampelli, che avrebbe considerato di correre anche per il Campidoglio se gli fosse stato chiesto) con la disastrosa candidatura di Enrico Michetti per il comune di Roma, terminata con una sconfitta contro ogni pronostico.

Proprio questo è il tema, secondo un grande ex della destra come Francesco Storace, che è stato presidente della Regione e conosce bene le dinamiche elettorali e amministrative: «La partita nel Lazio è vinta. Il punto è scegliere il nome giusto: non importa se civico o politico, serve una persona carismatica che sia in grado di comandare, e sottolineo comandare, sugli assessori per farli lavorare cinque anni».

Alleati serpenti

Nei tormenti di Meloni si stanno infilando gli alleati, che ne hanno annusato le difficoltà e hanno iniziato a martellare per una decisione immediata. «Siamo in grave ritardo: si voterà il 12 febbraio e non avere ancora un candidato è un problema. Ma Fratelli d'Italia ci ha rassicurato sul fatto che nelle prossime ore arriverà una rosa di nomi su cui inizieremo subito a confrontarci», ha detto la presidente dei senatori di Forza Italia Licia Ronzulli. A scalpitare, infatti, c’è in particolare il romano Maurizio Gasparri, che gestisce la partita laziale e ha annunciato che FI inizierà la sua campagna dal 16 dicembre, «con serietà e totale coesione ma sollecitando a tutti». «Stiamo aspettando i desiderata di FdI sui quali noi faremo confluire i nostri voti», ha tentato di distendere i toni la leghista Simonetta Matone.

Tuttavia, il tempo si sta velocemente esaurendo e Meloni deve scegliere: gratificare il suo vecchio capo politico oppure valorizzare il nuovo, per crescere una nuova classe dirigente di suo fedelissimi. In ogni caso la vittoria sarebbe quasi certa, come anche il terremoto nel partito.

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