Eccola qua, la “August surprise”. Sul mio cellulare è arrivata alle 12.30 di domenica 7 agosto. Il Senato ha approvato con 51 voti contro 50, il maxi piano proposto dall’amministrazione Biden un anno fa e che sembrava irrimediabilmente affossato; la svolta (repentina) era avvenuta la scorsa settimana, quando lo speaker democratico, il senatore di New York Chuck Shumer, aveva annunciato di aver raggiunto un “accordo personale” con il senatore del West Virginia, il “traditore” Joe Manchin, che si era messo di traverso e che neppure il presidente  Biden era riuscito a convincere.

E invece.. Chuck e Joe (non si sa come), hanno sbloccato «il più grande piano di misure contro il cambiamento climatico che la storia ricordi» (parole di Biden): una massa monetaria di 700 miliardi di dollari è oggi nelle mani dell’amministrazione di Washington per favorire la transizione verso l’elettrico e il solare. Comprende sostanziosi assegni in favore dell’assistenza sanitaria pubblica, una stangata ai profitti delle case farmaceutiche, una rete di “green banks” per finanziare progetti ecosostenibili e la rottura di un tabù, quello che noi chiamiamo in genere “la patrimoniale”. 

A sostenere le spese di una trasformazione che si annuncia colossale e che durerà almeno un decennio sono chiamate per la prima volta le imprese, con una minimum tax del 15 per cento. Questo non piacerà sicuramente ai colossi tecnologici e alle migliaia di imprese abituate a mettere la cifra “zero” nella dichiarazione dei redditi di azienda. Un’ulteriore tassa del 1,5 per cento è stata messa sulle transazioni finanziarie speculative. È stato bello vedere Joe Biden, appena guarito dal Covid, dichiarare con un bel sorriso: «finalmente i ricchi pagano».

Un nuovo sogno americano

Anche se la nuova legge, che prende il nome di “Inflation reduction act of 2022” riduce di un terzo lo stanziamento iniziale proposto un anno fa dal Partito democratico, per i repubblicani si tratta di un uppercut inaspettato proprio al penultimo round, ad appena tre mesi dalle elezioni di “mid term” che pensavano di avere già in tasca.

La loro “agenda” infatti prevedeva una campagna elettorale basata sul prezzo della benzina alle stelle e sull’incapacità del vecchio Biden di governare. Ora dovranno aggiustare il tiro: i democratici non mancheranno di “vendere” agli elettori il risultato ottenuto: con noi avrete buoni lavori nel mondo del futuro, assistenza sanitaria migliore per gli anziani, diritti acquisiti, insomma “the american dream” continua. Se sono bravi, hanno le loro carte da giocare, e soprattutto possono andare in giro senza quella faccia da sconfitta annunciata che da un po’ di tempo non riuscivano a nascondere.

Clima e pandemia

Quando si scriverà la storia di questa “svolta”, il virus Covid 19 risulterà essere stato un protagonista, insieme a Greta Thunberg, gli unici due che avevano annunciato che il mondo stava andando alla fine. La pandemia è stata dichiarata nel marzo 2020, l’economia americana è crollato di schianto, tutto era chiuso, i morti salivano e nessuno aveva il potere di intimare ai ghiacciai di smettere di sciogliersi e alle foreste di smettere di prendere fuoco.

C’erano, a quel tempo (appena due anni fa!), i populismi, in Europa crescevano, in America erano addirittura al potere. Il futuro di cui tutti parlavano era la guerra contro la Cina. Ma le elezioni, per fortuna, le ha vinte il vecchio Joe Biden che ha portato 150 milioni di americani a votare, usando le poste: è stata la seconda rivoluzione americana, a pensarci bene.

Si è scoperto che le democrazie, se volevano sopravvivere, dovevano diminuire le disuguaglianze sociali e smettere di sfruttare la Terra. Programma ambizioso, ma era l’unico. Nel 2021 eravamo ancora in piena pandemia. L’America e l’Europa hanno pompato miliardi di miliardi perché, in pratica, il fascismo non tornasse. Non era facile, il fascismo tende a tornare sempre.

Decisivo il voto della vicepresidente Kamala Harris (Video Us Senate Tv)

Le sconfitte dopo la vittoria

La vicenda americana è davvero un gran film d’azione. Joe Biden è uscito dalle elezioni del 2020 da vincitore, non senza colpi di scena. Come tutti ricordano, c’è stato un lungo e articolato tentativo di colpo di stato culminato nell’insurrezione del 6 gennaio 2021, bloccata non senza difficoltà. La sua maggioranza, chiara alla Camera, era appesa a un filo in Senato: cinquanta senatori democratici, contro cinquanta senatori repubblicani.

La Costituzione permetteva la maggioranza per il voto della vicepresidente, Kamala Harris, ma non vietava le pratiche di ostruzionismo parlamentare da parte dei repubblicani, nessuno dei quali si è dimostrato sensibile al nuovo potere.

In questa situazione, Biden ha lanciato un programma ambizioso, sapendo di essere appeso a un filo: la fragilissima maggioranza al Senato. Ed è andato incontro ad una serie di sconfitte. Non è riuscito a far passare una legge per garantire il diritto di voto, ha trovato ostacoli negli stati repubblicani, ha dato di sé un’immagine di debolezza con il disonorevole ritiro dall’Afghanistan, e infine… ha incontrato sulla sua strada Joe Manchin, che è una faccia vera dell’America. E soprattutto, una faccia.

Joe Manchin ha cambiato idea

Il senatore Joe Manchin (foto Francis Chung/E&E News/POLITICO via AP Images)

Joe Manchin è un senatore democratico dal 2010, dopo essere stato governatore del West Virginia per altri cinque. È un figlio del carbone, che è l’unica ragione per cui il West Virginia esiste, stato dell’Unione dal 1853; un ammasso di montagne deserte sotto le quali però c’erano 62 giacimenti di carbone.

Le miniere del West Virginia sono state la meta dell’immigrazione dei più poveri tra gli europei (gli ordini di servizio erano scritti in ungherese). Per tutto il Novecento lo stato ha fatto da teatro a tragedie minerarie, lotta di classe feroce e il trionfo della silicosi, che qui si chiama “black lung”, polmone nero, la polvere invisibile che ti piglia da giovane e ti porta alla morte abbastanza presto.

Questa era la constituency di Joe Manchin, la cui famiglia faceva affari con il carbone da generazioni. E anche Joe faceva buoni, buonissimi affari. E così, quando ha capito che tutto il programma di transizione ecologica doveva passare sui suoi affari, ha detto no. E sapeva che il suo voto era decisivo.

Joe Manchin è diventato una star: faccia da duro, vestiti eleganti, distillatore di verità scomode: «Biden si è spinto troppo a sinistra, non fa per me». «Gli Usa sono un paese di centrodestra, bisogna tenerne conto», «non sono favorevole ad ampliare l’assistenza sanitaria gratuita». I repubblicani ne hanno fatto il loro eroe, e a Joe Manchin non è dispiaciuto affatto. I democratici lo hanno bollato come traditore, ma in West Virginia non avevano nessuno da contrapporgli.

E quindi sembrava che la partita fosse finita, quando il 71enne Chuck Schumer ha fatto valere il suo talento. Famiglia ebrea emigrata dalla Galizia, attuale Ucraina, cresciuto a Brooklyn, laureato ad Harvard, simpaticissimo, è da una vita in politica, Chuck ha saputo usare bene le sue arti, più che l’economia la conoscenza dell’animo umano. Ha trattato, e parecchio. A Manchin ha dato condizioni di favore per il suo stato, e sostegni economici per i minatori affetti da silicosi, e un via libera per una pipeline di 300 chilometri che attraverserà lo stato. E Joe ha firmato. E non è più stato un traditore, è diventato un eroe americano.

Il clima

Nessuno si aspettava questo finale. E ora, naturalmente, “all the bets are on the table”. I dem hanno le loro possibilità. Gli indicatori economici sono positivi, certo bisognerebbe che la benzina alla pompa costasse un po’ meno – il prezzo della benzina ad un mese dal voto è quello decisivo, in America – e i repubblicani si sono dati la zappa sui piedi facendosi sostenitori del divieto di aborto: lo straordinario risultato del referendum in Kansas ha costretto sondaggisti e politologi a cambiare registro.

Tutto questo, naturalmente, appartiene al filone dell’ottimismo. Il filone opposto dice invece che il misto tra pandemia e cambiamento climatico non potrà che portare altro, nella vita degli uomini, se non a nuove forme di effimera difesa, di razzismo e di avidità. Se non sarà Trump, sarà qualcuno che gli assomiglia.

Questi pensieri vengono in mente, pensando alla situazione italiana. Anche noi abbiamo elezioni tra pochissimo, e per la prima volta con una guerra alle nostre porte; anche da noi pandemia e clima hanno colpito duramente e un’antica cultura, un’antica saggezza ci hanno avvertiti che era meglio ascoltare gli ammonimenti dal cielo. E così abbiamo accolto Mario Draghi, perché si facesse carico della situazione; ma poi, appena si è aperto uno spiraglio da Dopoguerra, quel minimo di armonia è passato. E si è scoperto che molti di noi vorrebbero vivere con Vladimir Putin e con il suo gas a buon prezzo.

L’altro giorno, la mia vicina di casa, storica democratica con tanto di bandiera ucraina alla finestra, mi ha mandato un messaggio: «Mi conosci, sai che non sono il tipo che ci tiene a far sapere che è stata in luoghi di lusso… ma ieri sono stata in un distributore di benzina!».

C’è l’inflazione. Arrivano i migranti. Cosa vuole quel Zelensky? Questo era il clima, fino a ieri. Speriamo che l’eroe Joe Manchin lo abbia cambiato… Ci saranno altre “August surprise” ?

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