In molti paesi del mondo si tracciano i bilanci del decennio populista che si è aperto con la crisi finanziaria del 2007 e si è idealmente chiuso con la pandemia e la sconfitta di Donald Trump: ci siamo cullati nell’illusione della meritocrazia? Gli esperti hanno sbagliato? O ha sbagliato la politica a scaricare ogni responsabilità sugli esperti? Davvero una laurea prestigiosa è necessaria per essere un buon ministro?

In Italia abbiamo saltato questa parte di discussione e analisi per arrivare alle conclusioni: i Cinque stelle sono in declino, il momento populista è passato, quindi è l’occasione buona per recuperare le buone abitudini di una volta.

Su Domani abbiamo raccontato due storie abbastanza incredibili, per contenuto e tempismo: mentre tutta Italia si preoccupa delle conseguenze dell’attacco (o della disfunzione?) al sistema informatico della regione Lazio che gestisce il piano vaccinale, i consiglieri regionali votano un emendamento che, con un meccanismo complesso, alza le loro pensioni. Un codicillo indecifrabile anche per alcuni che l’hanno votato, visto che la delibera che andava a modificare era sostanzialmente inaccessibile sul sito della regione, chissà se per colpa degli hacker.

Quasi in contemporanea, anche in Puglia i consiglieri si regalavano un Tfr rafforzato, cancellando in modo retroattivo dei tagli decisi in un altro clima politico dall’allora presidente Nichi Vendola nel 2015.

Nel frattempo, il Senato ha restituito il vitalizio anche ai condannati, come Roberto Formigoni, mentre l’ex ministro della Giustizia Clemente Mastella porta in piazza i sindaci contro l’abuso d’ufficio (reato contestato troppo spesso, non c’è dubbio).

Un paio di presidenti di regione, Michele Emiliano (Puglia) e Vincenzo De Luca (Campania), progettano di piegare le regole alle loro ambizioni di fare un terzo mandato consecutivo mentre in Lombardia il presidente leghista Attilio Fontana resiste a tutto, alla gestione disastrosa della pandemia, ai conti segreti in Svizzera, alle balle sull’origine di quei soldi, alle condanne dei commercialisti del suo partito in affari con la regione…

Intanto la Lega e i radicali raccolgono le firme per sei referendum sulla giustizia che per metà sono dedicati a indebolire l’accusa, mentre il sesto quesito prevede l’abolizione della legge Severino che vuole abolire l’automatismo dell’incandidabilità per politici condannati, lasciando al giudice la decisione caso per caso. È il garantismo all’italiana: tutti sono innocenti non soltanto fino al terzo grado di giudizio, ma anche dopo, e se qualcuno viene indagato e archiviato poi – prevede la riforma Cartabia – bisogna anche riscrivere il passato per assicurare il diritto all’oblio facendo sparire dal web ogni traccia.

Non c’è dubbio che la stagione dell’anticasta abbia prodotto storture: il sistema delle fondazioni politiche che agiscono accanto ai partiti in modo sempre più opaco, per esempio, è peggio dei finanziamenti pubblici che ha sostituito. E c’è sicuramente un problema con i troppi sindaci che si trovano indagati, talvolta per esposti di consiglieri di opposizione.

Nell’insieme, però, si nota un generale desiderio di ritorno ai tempi della “casta”, che tutti hanno imparato a condannare a parole mentre coltivavano il desiderio di appartenervi.

L’eredità del referendum

LaPresse

È passato meno di un anno dal referendum che ha tagliato un terzo dei parlamentari. Molti lo avevano celebrato come il trionfo delle campagne anti-Casta, altri come la fine di una stagione: il tentativo di riformare la politica da dentro, con l’ingresso in parlamento dei Cinque stelle nel 2013, era fallito, ridurre il numero di poltrone era un’ammissione di impotenza dopo aver tentato, senza successo, di provare a farne un uso migliore che in passato.

Era giusta la seconda interpretazione: passato il referendum, la nostalgia di Casta si è fatta delibere, leggi, ordinanze, mentre il Movimento dell’anti-Casta si rassegnava a diventare un partitino centrista moderato e in fondo conservatore.

Con 250 miliardi di fondi europei a disposizione della politica, tutte le Caste sono già pronte a tornare al tavolo: è stato riesumato perfino il ponte sullo Stretto di Messina, con 50 milioni di euro di soldi pubblici da buttare in altri progetti inutili ma redditizi.

Il rischio è che il popolo dell’anti-Casta, di fronte a tanta sfrontatezza, si evolva in qualcosa di peggio, così come gli anni Settanta sono stati più violenti dei Sessanta: i contestatori cinici e disillusi sono perfino peggio di quelli ingenui e pasticcioni che abbiamo visto all’opera negli ultimi anni.

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