Quella sui green claims non è una battaglia ideologica ma una richiesta, necessaria, di trasparenza. Non è una costola del Green deal e non ha nulla a che fare con «obiettivi ideologici o vincoli ambientali calati dall’alto». La giravolta del governo italiano è incomprensibile
In Europa, ogni giorno, milioni di cittadini scelgono di pagare un po’ di più per un prodotto sostenibile. Lo fanno per convinzione, per fiducia. Lo fanno anche quando hanno un potere d’acquisto molto basso. Una confezione che promette di essere “green”, “carbon neutral” o “biologica” esercita un richiamo forte, soprattutto su chi vuole contribuire, nel proprio piccolo, a un mondo più pulito.
Ma cosa succede quando quella promessa è falsa? Quando dietro il marketing verde si cela una bugia? Succede che ci troviamo davanti a una truffa. Una truffa ai danni del consumatore, ma anche ai danni di quelle imprese che quella sostenibilità la praticano davvero.
Verificare ciò che si dichiara
La direttiva europea sui green claims nasce per impedire tutto questo. Non è una costola del Green deal e non ha nulla a che fare con «obiettivi ideologici o vincoli ambientali calati dall’alto». Si tratta, molto più concretamente, di una normativa che chiede una sola cosa: verificare ciò che si dichiara, su base volontaria. Se vuoi scrivere sulla confezione che il tuo prodotto è sostenibile, devi poterlo dimostrare. Altrimenti, menti. E se menti, danneggi il mercato e tradisci chi ti compra.
A questo proposito, vale la pena chiarire un punto cruciale. Dal 2026, la direttiva Empowering consumers vieterà l’uso di slogan verdi privi di fondamento. Ma solo la direttiva Green claims – quella che la Commissione europea, e il Ppe in combutta con le destre estreme vorrebbero affossare – prevede una verifica delle dichiarazioni ambientali, nei casi più importanti prima della messa in vendita.
E dato che spesso le regole “a taglia unica” non sono sempre efficaci per tutti, stavamo negoziando per esentare le microimprese e introdurre modalità molto semplificate per le pmi e per varie categorie di prodotti.
Greenwashing
Questa direttiva è stata pensata per proteggere i consumatori europei da un fenomeno sempre più diffuso: il greenwashing. Cioè l’uso fraudolento di parole e simboli “verdi” per vendere prodotti che non lo sono affatto.
È una pratica dilagante, che alimenta confusione, genera sfiducia e – soprattutto – gonfia artificialmente i prezzi, portando le persone a pagare di più per qualcosa che non vale il costo che dichiara. Ma è anche – e qui sta forse il punto più trascurato – una truffa sistematica contro le imprese oneste.
Perché nel momento in cui chiunque può dichiararsi “ecologico” senza passare per alcun controllo, le aziende che invece investono nella sostenibilità – migliorando i processi, riducendo le emissioni, certificando le filiere – si ritrovano esposte alla concorrenza sleale.
E a perdere sono tutti: il piccolo produttore italiano, la pmi europea, ma anche il grande gruppo che ha deciso di fare della sostenibilità un vantaggio competitivo reale. Come è possibile che un agricoltore biologico debba sottostare a ispezioni, analisi e controlli rigorosi, mentre una multinazionale può applicare liberamente un’etichetta “green” sul proprio shampoo o sul proprio imballaggio senza alcuna prova?
È un doppio standard che mina la fiducia e altera le regole del gioco. È totale deresponsabilizzazione. Ed è esattamente quello che questa direttiva vuole correggere. Chi la osteggia – evocando costi, burocrazia, ostacoli alla libertà d’impresa – difende, consapevolmente o no, l’arbitrio e l’ambiguità. Difende una zona grigia dove tutto è lecito, dove anche il finto sostenibile può prosperare, spesso a scapito dei produttori europei.
Perché poi – diciamolo con chiarezza – l’invasione di merci da paesi come Cina o India, spacciate per ecologiche e vendute a basso prezzo, o l’aggressivo greenwashing delle imprese americane nel mercato europeo si reggono proprio su questa assenza di regole. Su questa cortina di fumo che la direttiva si propone di spazzare via.
La giravolta italiana
Per questo, è incomprensibile la giravolta del governo italiano, che prima sosteneva la riforma e poi ha cambiato repentinamente posizione senza alcuna vera spiegazione.
Non è una battaglia ideologica. È una battaglia per la verità. Come fu, anni fa, quella sulla truffa Volkswagen del diesel “pulito”: uno scandalo colossale costruito sull’illusione di un’auto ecologica. La storia ci ha insegnato che senza trasparenza, anche le migliori intenzioni possono degenerare in frode. E senza contromisure, le frodi e gli inganni si moltiplicano. Mentre buone regole favoriscono la concorrenza leale e diminuiscono i contenziosi e le incertezze. La direttiva Green claims serve esattamente a questo: chi dice di essere verde, lo dimostri. Tutto il resto è fumo. E l’aria, ormai, è abbastanza inquinata.
Sandro Gozi è relatore della direttiva Ue sui Green claims
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