In questi giorni si sono svolti gli esami di terza media per 560mila studenti, quasi una persona su 100 in Italia. Chi non ne è coinvolto immagina che gli esami di terza media siano una semplice formalità, ma questo è vero fino a un certo punto.

È recentissima la notizia riportata da diverse testate che nella regione Lazio circa 500 alunni non siano stati ammessi all’esame di terza media, ossia l’1 per cento dei candidati. Questo dato è frutto in realtà di una doppia approssimazione: quella dei giornalisti che hanno cercato di capire quale fosse la situazione scolastica postpandemica e quella dell’Associazione nazionale presidi, che ha provato a stimare una media dei non ammessi.

Cristina Costarelli, a capo dell’Anp Lazio, me lo conferma: «È una percezione, a partire da campionamenti in alcune scuole, dovremmo aspettare i dati del ministero per avere un quadro completo e chiaro». Ma Costarelli stessa non è allarmata da questa prima rilevazione. Già qualche giorno fa aveva dichiarato: «La non ammissione resta molto residuale, quasi non è prevista in tutto il primo ciclo. Quando lo si fa, i motivi non sono legati al rendimento e all’impegno, ma a situazioni molto estreme».

Una notizia paradigmatica

Che vuol dire che quasi non è prevista? Vuol dire che di fatto oggi si può promuovere da una classe all’altra e ammettere all’esame di terza media anche nel caso che uno studente abbia una carenza in una o più materie. Questo perché si prova a lavorare sul lungo periodo, e si immagina – come è poi è vero in molti casi – che si possano colmare quelle carenze con l’impegno degli anni successivi, e si ritiene che la scuola media, essendo scuola dell’obbligo, debba riuscire a accompagnare gli studenti anche quelli più fragili.

La domanda che però resta è quali siano “le situazioni molto estreme” nelle quali ci può essere una non ammissione. Si tratta nella maggior parte di percorsi accidentati da un numero consistente di assenze; cosa fare quando un ragazzino di 13 o 14 anni non viene a scuola per una buona parte dell’anno? È giusto ammetterlo all’esame di terza media?

Ed ecco che questa non notizia diventa invece una notizia. Perché ci mostra una realtà che pensiamo scomparsa nella scuola italiana, ed è invece presente e paradigmatica: quella della dispersione scolastica alle medie. Determinata da povertà materiali o culturali delle famiglie, da condizioni di salute non affrontate come si dovrebbe, la continuità scolastica per molti studenti dai 10 ai 14 anni diventa problematica. E i tassi di dispersione alle medie che penseremo nulli si attestano invece su una percentuale intorno all’1 per cento. Per nulla poco.

Un problema che resta

Circa un mese fa è uscito una ricerca Infodata del Sole24ore, che aggregando dati Istat, mostrava come anche «nel 2020 ci fossero 50 mila ragazzi fra i 20 e i 24 anni, nati fra il 1996 e il 2000, che non avevano la licenza media. Nel dettaglio: 10,6 mila di loro sono analfabeti, 15,8 mila sono alfabetizzati ma non hanno mai finito le scuole elementari, mentre altri 23,3 mila non hanno mai finito le scuole medie».

Sappiamo che non finire le scuole medie vuol dire, in molti casi, essere analfabeti. Stiamo sempre parlando di percentuali molto esigue: tra lo 0,5 e l’1 per cento. Ma se teniamo conto dell’ampiezza della popolazione giovanile e scolastica, sono dati che non possiamo considerare residuali e sono invece allarmanti.  

Anzi guardando queste cifre fa ancora più impressione ascoltare oggi quelle retoriche che sbraitano che la scuola italiana non boccia più, non seleziona, o ancora peggio quelli che usano Don Milani, anche nel recente centenario della nascita, per dire che dalla sua Lettera a una professoressa si è diffusa l’abitudine a rendere la scuola italiana meno qualificata per troppa indulgenza nei confronti di chi riesce meno.

Per molti studenti, per molte famiglie i problemi dell’istruzione oggi assomigliano purtroppo a quelli del 1967 a Barbiana: ci sono molti ragazzini che non vanno a scuola perché i genitori gli chiedono di aiutarli nel lavoro o nel sostentamento economico della famiglia. Per molti altri la pandemia non è stato un momento di crisi, ma una frattura che ha segnato un punto di non ritorno nella relazione con la scuola pubblica.

Il fenomeno dell’homeschooling

A questa dispersione scolastica under 14 che consideriamo in qualche modo cronica o normalizzata, va aggiunto il flusso di studenti che negli ultimi anni hanno lasciato la scuola pubblica per l’homeschooling. Se alla primaria oggi contiamo quasi 12mila bambini seguiti dall’educazione parentale (un dato sestuplicato negli ultimi cinque anni), anche per le scuole medie la tendenza è nettissima: si è passati da 1.651 studenti a 6.122.

Più di tre volte e mezza. Quando parliamo di crisi della scuola dovremmo focalizzarci su queste lacerazioni, e ribattezzare il ministero dell’Istruzione anche “del merito” non ha sicuramente aiutato.

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