I molti provvedimenti che si vanno affastellando nelle ultime settimane rischiano di disorientare e far perdere il filo del discorso. Può essere utile svolgere qualche considerazione sul cosiddetto decreto festività (d.l. n. 221/2021), ennesimo tassello di un complesso quadro regolatorio.

Il decreto festività

A person gets tested for COVID-19 at a mobile testing site in Times Square on Friday, Dec. 17, 2021, in New York. New York City had been mostly spared the worst of the big surge in COVID-19 cases that has taken place across the northeastern and midwestern U.S. since Thanksgiving, but the situation has been changing rapidly in recent days.(AP Photo/Yuki Iwamura)

Il decreto festività è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale alla vigilia di Natale, con entrata in vigore il giorno di Natale.

La singolarità delle date è dipesa dal fatto che un particolare sequenziamento della variante Omicron era stato fatto solo il 20 dicembre - e non prima, come in altri paesi - quindi bisognava attenderne i risultati. Ciò ha dettato i tempi.

Le disposizioni erano ormai note, poiché anticipate dai media. Del resto, le persone – soprattutto quelle che arrivavano dall’estero - necessitavano di sapere ciò che avrebbero potuto fare o meno nel periodo festivo o se, per accedere in certi luoghi, sarebbe servito il “green pass” base, rafforzato o addirittura il “mega green pass”, cioè quello completo di terza dose.

È vero che il virus muta e che la normativa segue la scienza, ma poi i cittadini devono a propria volta inseguire le norme di decreti che si susseguono a breve distanza, provando a capire se ciò che riportano i media sia oggetto di disposizioni già emanate o di indiscrezioni, e quanto sia fondato; e poi interpretare il testo ufficiale mediante incastri di disposizioni contenute in provvedimenti diversi e legate fra loro da una serie di rimandi.

Come in medicina si devono seguire i protocolli sanitari, così esistono protocolli di buona regolamentazione che vanno rispettati anche in pandemia – anzi, a maggior ragione - ma chi scrive le regole pare non averne contezza.

I due governi succedutisi dal 2020 hanno continuato ad affastellare norme su norme.Forse illudendosi che la pandemia fosse terminata, nessuno dei due ha reputato necessario redigere una raccolta della vigente disciplina emergenziale, così da renderla immediatamente reperibile ai destinatari.

Né elaborare una legge quadro per le crisi epidemiologiche, come quella tedesca, per gestire l’epidemia presente e quelle future in modo strutturato e certo.

Stato di emergenza

A respirator KN95 on the Europe map. Photo/Jiri Vrnata (CTK via AP Images)

Lo stato di emergenza era stato di fatto prolungato fino al 31 marzo 2021 da un decreto-legge precedente, approvato il 14 dicembre scorso in Consiglio dei ministri, ma mai pubblicato in Gazzetta Ufficiale. L’ultimo decreto-legge “cannibalizza” quello precedente, incorporandone le disposizioni, e formalizza la proroga, criticità comprese.

Le avevamo esposte in un altro articolo: l’emergenza non è più quella disciplinata dal codice della protezione civile (d.lgs. n. 1/2018), che non viene richiamato come base giuridica dal nuovo decreto.

È un’emergenza diversa, nonché indefinita, poiché non più ancorata alla legge che la prevede, quindi svincolata dai limiti, anche temporali, sanciti dalla stessa.

Il decreto-legge del 24 dicembre afferma nelle premesse che la «situazione emergenziale persiste e che pertanto ricorrono i presupposti per la proroga dello stato emergenza». Ma i presupposti dello stato di emergenza sono indicati nel codice, e siccome tale codice non è richiamato non si sa a quali presupposti debba farsi riferimento.

Il sistema dei tamponi

A person gets tested for COVID-19 at a mobile testing site in Times Square on Friday, Dec. 17, 2021, in New York. New York City had been mostly spared the worst of the big surge in COVID-19 cases that has taken place across the northeastern and midwestern U.S. since Thanksgiving, but the situation has been changing rapidly in recent days.(AP Photo/Yuki Iwamura)

Il nuovo decreto estende l’uso del “super green pass”, che esclude l’opzione del tampone. Del resto, i tempi di prenotazione dei test nonché di attesa dinanzi alle farmacie e ai drive-through dimostrano il sistema si è inceppato. Tutto questo ha una spiegazione sul piano regolatorio, in termini di mancata valutazione di impatti e fattibilità.

Quando, a luglio, il “green pass” divenne condizione per l’accesso a una serie di luoghi e attività, esso determinò un’importante spinta verso le vaccinazioni.

Quanto ai tamponi, la saltuarietà dell’entrata nei luoghi ove il pass era previsto impedirono impatti rilevanti sul sistema. A settembre la certificazione Covid divenne requisito per l’entrata nei posti di lavoro. Si pensava che l’opzione del tampone, economicamente gravosa, nonché fastidiosa, avrebbe indotto i più a preferire il vaccino, “gratuito” e agevole da fare.

Ma la regolamentazione necessita di un’attenta analisi ex ante per funzionare in maniera efficace. La scelta normativa ha incentivato le vaccinazioni, ma forse non nella misura attesa.

Tanti hanno preferito ricorrere al test ogni due giorni, anziché alla vaccinazione, e il meccanismo ha iniziato ad andare in affanno.

Con l’arrivo del freddo e il protocollo di sicurezza per le scuole, con doppio tampone a tutti gli studenti per ogni caso di positività, il sistema è andato in sofferenza.

I test per gli studenti si sono assommati a quelli dei lavoratori non vaccinati, dei contatti stretti di positivi e di chi, comunque, presentasse sintomi Covid.

Le aziende sanitarie non sono riuscite a farsi carico dei tamponi necessari. All’inizio di dicembre è stato quindi coinvolto il ministero della Difesa con i militari – coinvolgimento ribadito nel decreto festività – per il «tracciamento riguardante le scuole». Ma ciò non è bastato.

Poi è arrivata la variante Omicron, i maggiori contagi, le feste natalizie e, soprattutto, la presa d’atto collettiva che pure i vaccinati possono infettare, nonché infettarsi, e che il “green pass” non dà alcuna «garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose», come affermato dal Presidente del Consiglio qualche mese prima. E il sistema è divenuto ingestibile.

La sanità, quindi pure l’organizzazione dei tamponi, è regionale, ma la competenza normativa in pandemia è del potere centrale, come riconosciuto anche dalla Consulta; inoltre, lo stato di emergenza, che serve solo a consentire una più agevole operatività della protezione civile, permetterebbe un intervento di quest’ultima, con tende e personale, per fare tamponi ove fosse necessario.

Infine, non è stata consentita l’effettuazione di tamponi nelle parafarmacie – che sono gestite da un farmacista laureato e abilitato - nonostante la ripetuta disponibilità manifestata da parte di queste ultime già molti mesi, e ciò ha privato il sistema di un apporto importante.

Durata del “green pass” e terza dose

La durata del “green pass” sarà di sei mesi, a partire dal prossimo 1° febbraio. L’Italia, dunque, si adegua alla decisione europea adottata dalla Commissione il 21 dicembre scorso – durata di sei mesi, con l’aggiunta di tre mesi iniziali per consentire l’adeguamento degli Stati - e non viceversa, come molti avevano affermato dopo il Consiglio europeo del 16 dicembre.

Intanto, il termine per la somministrazione della terza dose sta per passare da 5 a 4 mesi.

Il governo dovrà garantire che essa sia effettuata da parte delle regioni entro il termine previsto.

Quando si fissano scadenze sempre più stringenti si deve essere in grado di assicurare che siano rispettate. Dopo due anni di pandemia, è la tenuta dei cittadini, oltre che la loro salute, a essere a rischio.

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