Mi è capitato spesso, nelle ultime settimane, di dover spiegare a osservatori stranieri come sarà il governo Meloni. In assenza della palla di cristallo, l’unica cosa seria da fare è analizzare la situazione e gli incentivi dei protagonisti. Ma la parte interessante è ascoltare le domande.

Che sono di due generi: l’Italia è diventata un paese fascista e la democrazia è a rischio? Un governo come quello che si delinea riuscirà a fare le riforme di cui l’Italia ha bisogno da sempre o almeno a preservare quanto di buono ha fatto Mario Draghi da premier?

A noi che vediamo le cose dall’interno le risposte vengono piuttosto facili: Giorgia Meloni non sarà più forse l’esponente di un partito estremista come era Fratelli d’Italia ai tempi in cui prendeva il 4 per cento. Ma neppure sarà lei a costruire quella destra europea vagheggiata per anni. O almeno non subito.

Le vicende di questi giorni dimostrano che, nel migliore dei casi, il compito che la storia affida a Meloni è quello di seppellire il berlusconismo.

Vedremo come finirà la saga degli audio registrati e diffusi con i deliri bellici di Silvio Berlusconi, in pubblico punto di riferimento dell’occidente e in privato amico di Vladimir Putin che auspica una rapida disfatta dell’Ucraina che l’Italia sostiene militarmente da mesi.

La certezza già acquisita è che Forza Italia intesa come possedimento personale di Berlusconi è finita: l’ex Cavaliere non è più utile a costruire carriere, e neppure è in grado di rispettare i patti con chi ritiene di avanzare crediti, come Licia Ronzulli, tra i tanti.

Dopo essere stato a lungo un problema per l’Italia, Berlusconi ora è una minaccia per chi ha costruito piccole e grandi carriere all’ombra di Arcore: a costoro Meloni pare un porto sicuro, e sicuramente la leader di Fratelli d’Itali ha dimostrato un certo decisionismo politico nel neutralizzare gli avversari e compiacere i fedelissimi con poltrone tanto vistose quanto innocue.

Seppellire Forza Italia 

Meloni, dunque, prima ancora di insediarsi da premier sta già portando a compimento il tentativo del suo antico capo politico Gianfranco Fini, che già nel 2010 aveva provato a usare la legittimità data da un passato post-fascista per cercare di costruire una destra che al confronto con la degenerazione berlusconiana paresse moderata.

All’epoca Berlusconi era ancora forte, e aveva annichilito Fini in una morsa politica e mediatica, ma ora la prova di forza è fallita e la caduta dell’ex Cavaliere si annuncia definitiva.

Il problema è che così anche l’intera narrazione venduta agli elettori è crollata: Giorgia Meloni ha preso voti perché unica opposizione al governo Draghi, ma ora Fratelli d’Italia sta ricomponendo il centrodestra in nome della continuità più rilevante con l’esecutivo uscente, in politica estera ed economia.

Chi ha votato Forza Italia lo ha fatto perché il partito, seppure in rovina, pareva la gamba europeista da rafforzare in uno schieramento altrimenti poggiato sugli alleati di Polonia, Ungheria ed estremisti vari.

L’elettore della Lega, deluso dalla mutazione populista e nazionale imposta da Matteo Salvini, forse sperava di favorire l’agenda del nord ma sta scoprendo che le compromissioni russe del leader impongono una marginalità politica completa.

Se davvero finirà alle Infrastrutture, Salvini farà un po’ di rumore aprendo e chiudendo porti, ma poi si troverà a guidare ruspe meno popolari di quelle che negli anni scorsi spianavano campi rom. Ad affrontare le proteste di chi non vuole strade o tunnel i voti si perdono in fretta.

E con un leghista di peso come Giancarlo Giorgetti al ministero dell’Economia, sarà difficile ripetere lo stesso schema seguito durante il governo Draghi, cioè stare dentro ma anche protestare da fuori per avanzare i punti programmatici più identitari (su tasse, pensioni, bollette ecc.)

Il cinismo non basta 

Insomma, il centrodestra scelto dagli elettori il 25 settembre è già diventato un’altra cosa. Non più una coalizione, ma un protettorato di Giorgia Meloni, che segue schemi degni del Principe di Machiavelli. Ha dimostrato di essere disposta a sacrificare «la fede» e il «vivere con integrità» per privilegiare «l’astuzia» per «aggirare i cervelli degli uomini». Ma, secondo Machiavelli, rinunciare alla virtù della lealtà era più che legittimo soltanto se necessario per perseguire «gran cose». Cioè un bene politico di massimo rilievo, come la sopravvivenza dello Stato. 

Quali siano le «gran cose» che Meloni vuole ottenere non lo sa nessuno, visto che con la coalizione tramonta pure il programma elettorale del centrodestra e che la futura premier non ha mai detto nulla dopo il voto.

Il talento di perseguire il potere per il potere non era un obiettivo legittimo o apprezzabile neppure nella cinica visione della politica del diplomatico fiorentino.

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