«Bisogna fare attenzione alle sanzioni: potrebbero essere un boomerang. Loro, la Russia erano preparati da tempo, noi in Europa no», ha detto il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, a “Porta a Porta”. Comincia così il mandato del leghista appena eletto terza carica dello stato. Il suo curriculum politico e i suoi rapporti con la Russia, sin da subito avevano suscitato perplessità.

Nel 2014 insieme ai colleghi leghisti Matteo Salvini e Gianluca Buonanno si era messo la maglietta per fermare le sanzioni inscenando una protesta a Bruxelles. Da allora la Lega si è detta sempre contraria e, dopo l’invasione del 24 febbraio ha moderato i toni sottolineando solo i disagi che comportano all’Italia e all’Europa.

«Abbiamo rapporti commerciali importanti con la Russia e per questo abbiamo interesse a mediare», diceva lo stesso Fontana a metà di quel mese.

Dopo l’invasione

Salvini nei mesi ha aggiustato la linea del partito nei confronti di Mosca. Né a favore di Putin, ma nemmeno delle sanzioni. Il 23 febbraio si lanciava contro Josep Borrell: «Per il capo della politica estera dell'Unione europea, le sanzioni contro la Russia servono a bloccare lo shopping dei russi a Milano e i loro party a Saint Tropez siamo al ridicolo. O forse al tragico».

In campagna elettorale il tenore è lo stesso: «Ho cambiato idea su Putin? Chi scatena una guerra ha sempre torto». Prima, «tutti, me compreso prima avevano ottima idea. Poi, quando scateni una guerra passi dalla parte del torto. Quello che mi preme è che le sanzioni che l'Ue ha giustamente messo in campo contro la Russia per metterla in ginocchio non siano pagate dagli italiani. Bisogna fermare la guerra con ogni mezzo, ma non possono essere gli italiani a pagare».

Il 7 settembre proseguiva: «La Lega ha votato tutti i provvedimenti per proteggere l'Ucraina e chi fa la guerra ha torto». Ma ribadiva che la Russia stava continuando a raccogliere denaro «mentre l'Italia e l'Europa stanno soffrendo, le sanzioni oggettivamente non servono, noi facciamo parte della squadra internazionale dei paesi liberi democratici occidentali, non decide l'Italia da sola e se si decide di andare avanti così io chiedo solo che a rimetterci non siano gli italiani».

Le sanzioni «stanno mettendo in ginocchio i miliardari a Mosca o i pensionati a Roma? È nei fatti che più che punire Mosca puniscano Milano, Roma, Palermo. Allora io dico: andiamo avanti insieme, non voglio portare l'Italia sul cucuzzolo di una montagna, ma chiedo protezione per gli italiani, perché  le bollette della luce e del gas sono un’emergenza nazionale per tutti».

Anche al meeting di Comunione  e liberazione, durante il confronto fra i leader inclusa l’atlantista Giorgia Meloni, collega di coalizione, il problema era l’Unione europea: «Non vorrei che le sanzioni stiano alimentando la guerra. Spero che a Bruxelles stiano facendo una riflessione», concludeva.

Il 6 settembre: «L'idea sulla guerra quale sarebbe? Noi continuiamo con le sanzioni; tu ti arrendi, fermi i carri armati, ti ritiri e la smetti di rompere le scatole al mondo. I primi 6 mesi di sanzioni alla Russia hanno provocato questo effetto ? No». La richiesta resta sotto traccia: «Facciamo finta che non sia così? Andiamo avanti con le sanzioni? Andiamo avanti con le sanzioni. Mettiamo al tetto al vostro gas, e ve lo paghiamo quanto diciamo noi. Piccolissimo problema: quello là cosa può fare? Chiudere il rubinetto».

Salvini al governo

LaPresse

«Dal governo spero di potere presto raccogliere l’appello del presidente della Confindustria Russia: via queste assurde sanzioni», si leggeva sul Corriere della Sera quattro anni fa. Il piano per abbattere le sanzioni è stato quasi attuato. Dopo le elezioni del 2018 il contratto di governo tra Movimento e Lega recitava: «Si conferma l’appartenenza all’Alleanza atlantica, con gli Stati Uniti d’America quale alleato privilegiato, con una apertura alla Russia, da percepirsi non come una minaccia ma quale partner economico e commerciale potenzialmente sempre più rilevante. A tal proposito, è opportuno il ritiro delle sanzioni imposte alla Russia, da riabilitarsi come interlocutore strategico al fine della risoluzione delle crisi regionali (Siria, Libia, Yemen)».

Da lì la visita di stato di Vladimir Putin e del leader della Lega a Mosca. Mentre organizzava incontri con gli imprenditori di Confindustria Mosca si parlava addirittura di veto, l’ultima carta da usare nella partita con l'Ue, senza poter «escludere nulla». Il governo con il Movimento si è sciolto poche settimane dopo che si è scoperto che l’ex portavoce di Salvini, Gianluca Savoini, trattava un finanziamento con Mosca per il partito attraverso la compravendita di gasolio.

A febbraio 2020: «Continuo a pensare che la Russia debba essere un partner che non va lasciato nelle braccia della Cina: credo che la politica delle sanzioni sia demenziale. Lo dico da 4 anni e non ho cambiato idea».

Il 20 settembre del 2021 preconizzava: «Ci saranno tanti cambiamenti sulla politica estera penso che avere buoni rapporti con la Russia sia fondamentale, soprattutto dopo il problema in Afghanistan». Quindi «rinnovare a vita le sanzioni contro la Russia non è utile per nessuno», concludeva Salvini.

L’intenzione di togliere le sanzioni è rimasta fino all’inizio della invasione. La delusione per il fatto che la Lega al governo non ci sia riuscita è arrivata direttamente da Silvio Berlusconi, che nel 2019 se la prendeva con lui: «Salvini aveva promesso, una volta al governo, che avrebbe tolto le sanzioni: non l'ha fatto. Bisogna riportare la Russia in Occidente. Non possiamo girare la testa dall'altra parte», aveva sottolineato il leader di Forza Italia nel corso della kermesse #IdeeItalia organizzata dal partito a Milano.

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