Il sovranismo non sarà mai merce da esportazione. Di qui le sconfitte della premier Giorgia Meloni a Bruxelles o in politica estera, dove solo punto fermo è il fresco atlantismo; si allinea a Washington anche per distanziarsi dalla difesa comune europea.

La vicinanza al premier polacco Morawiecki – che ha appena detto in Germania cose contrarie ai fondamenti della Ue – nuoce al paese; il partito di questi, Diritto e Giustizia, è parte del gruppo europeo Conservatori e riformisti, da Meloni presieduto, che punta a ribaltare il governo Ue nel 2024.

La premier così crede di fare gli interessi della Nazione, ma va contro quelli della Repubblica. E la distanza fra le due risalta plasticamente.

Per reagire alle batoste esterne, la nostra Chef si concentra sulla cucina di casa e propone un piatto troppo speziato, con tre ingredienti: superamento della repubblica parlamentare col presidenzialismo, tassa piatta per tutti, autonomia regionale differenziata (Ard).

A quale presidenzialismo punti Meloni è ancora oscuro, ma la sua maggioranza ama certo leader forti, mal sopporta la natura unificante della presidenza della Repubblica e i suoi poteri di governo delle crisi; nel 2022 Fratelli d'Italia non votò Mattarella.

La flat tax con altri tratti del sistema fiscale, come la tassa fissa sui proventi finanziari e altre cedolari, delinea un sistema inefficace, contrario alla progressività scritta in Costituzione.

L'Ard ne attuerebbe sì l'articolo 116, sbrego costituzionale del centro-sinistra nel 2000, volto a drenare l'acqua ove nuotava la Lega, ma lo stravolge, andando oltre le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» là previste.

L'Ard lascia più fondi alle ricche regioni del Nord; basta un solo, finale, passaggio parlamentare per scolpire nel marmo accordi fra lo Stato e ogni regione, mutabili solo col consenso di questa. Sarebbe la fine dell'unità nazionale; la vuole il partito della Nazione?

Sono tre riforme eversive, che cambierebbero faccia all'Italia; troppo per un governo eletto con una robusta componente maggioritaria.

La Carta non è immutabile, ma servono i giusti modi. Può spingere assieme le tre riforme solo chi ritiene la Costituzione (su cui ha giurato) sia un arnese da rottamare, finché durano i consensi ricevuti.

Nessuno dei tre partiti oggi al governo sedeva nell'assemblea che ha redatto la Costituzione; Forza Italia e Lega non esistevano proprio, ma gli eredi di Salò mancavano per motivi che neanche un presidente del Senato sgrammaticato come Ignazio La Russa può ignorare.

Che questi possa in teoria un giorno supplire al capo dello Stato temporaneamente assente dà la misura dei rischi per la salute della Repubblica. Se la storia di questa tanto li disturba, come ha qui scritto Nadia Urbinati, non permettiamogli di falsificarla.

© Riproduzione riservata