L’ultima proposta della Us Customs and Border Protection è di controllare a chi vuole entrare negli Stati Uniti i suoi social. Ricorda il film Perfetti sconosciuti, ma il finale si preannuncia molto amaro
Sono passati quasi dieci anni dall’uscita del film con il primato di remake. Secondo il regista, Paolo Genovese, i rifacimenti del suo Perfetti sconosciuti sarebbero ormai quarantasette. Senza nulla togliere al ghigno sardonico di Giallini né alla romanità guascona di Edoardo Leo, il fatto che questo lungometraggio sia diventato così paradigmatico su scala mondiale ci dice qualcosa.
L’idea che qualcuno sbirci coattivamente negli smartphone terrorizza il globo, dai Parioli a Beijing. Più che una commedia, la cena tra vecchi amici colpevoli di avere tutti qualcosa da nascondere sotto a un riconoscimento facciale è un film dell’orrore diretto da Charlie Brooker. Il cellulare è ormai un’istanza della psiche collocabile a metà strada tra l’Es e il Super-Io, custode dei nostri segreti, dei peggiori pensieri, insulti, sentimenti deprecabili. Dalle chat di gruppo ai vecchissimi tweet che credevamo caduti in prescrizione, una cosa è certa: nessuno è al sicuro.
Neanche un turista europeo che vuole farsi un giro negli States. L’ultima proposta della Us Customs and Border Protection è di controllare a chi vuole entrare lo storico social, alla ricerca, chiaramente, di qualche meme incriminato col faccione rubicondo di Vance o critiche a Trump e Israele.
Scagli l’iPhone chi è senza peccato (ma non chi è senza cover), pretendere dall’essere umano una coscienza digitale candida come il feed di un bambino è come chiedere al presidente degli Stati Uniti di rispondere educatamente alle domande dei giornalisti: impossibile.
Il finale di Perfetti sconosciuti lasciava intendere che fosse tutto frutto dell’immaginazione dei protagonisti, un brutto sogno; fuori dal set di Genovese, e degli altri quarantasette registi che lo hanno seguito a ruota, invece, è probabile che nessuno si sveglierà tirando un sospiro di sollievo.
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