«Qualcuno qui ritiene che le autorità italiane volutamente non abbiano fatto qualcosa che potevano fare? No». La presidente del Consiglio Giorgia Meloni si fa le domande e si dà anche le risposte, questo è il suo approccio all’informazione e alle conferenze stampa come quella, disastrosa, che ha voluto tenere a Cutro nel luogo della strage.

Se la domanda fosse stata vera e le risposte oneste, molti dei giornalisti presenti avrebbero risposto: sì, cara presidente, pensiamo esattamente questo. Che le autorità italiane avrebbero potuto salvare le 72 vittime del naufragio del 26 febbraio e i dispersi ma non l’hanno fatto.

Questa consapevolezza, e il disinteresse del governo per le vittime e le loro famiglie, è «un problema per la credibilità della nazione che io rappresento», non il fatto che qualcuno osi fare le domande. Nonostante lo sbarramento del nuovo capo ufficio stampa di palazzo Chigi, Mario Sechi, che ripete in modo ossessivo «questo non è un dibattito».

Il problema delle domande

L’intera operazione Cutro dimostra l’approccio del governo Meloni alla questione immigrazione e alla strage: un misto di disinteresse, propaganda, aggressività e approssimazione.

Non sono riusciti neanche a sistemare le luci, figurarsi a preparare dei contenuti.

«Voi parlate del caso in cui non siamo riusciti, ma nessuno racconta gli altri», osa dire la premier.

Quindi il problema sono i giornalisti che, chissà perché, si accaniscono su questa minuzia dei 72 morti invece di celebrare le 20 o forse 25 – ogni ministro spara il suo numero – operazioni in corso.

Come se ogni migrante salvato compensasse il migrante morto: uno vale uno, nel mondo di Meloni, un vivo per un morto, un salvato deve far dimenticare un sommerso.

Il Consiglio dei ministri è uno spot venuto male che però conferma le cose peggiori sentite dopo la strage del 26 febbraio. Anche Giorgia Meloni, come il suo ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, scarica le responsabilità sui migranti che partono.

Tanto che addirittura propone programmi di informazione con i paesi di partenza per scoraggiare le persone a partire, «per dare i messaggio che non conviene entrare in Italia illegalmente».

Come se chi scappa dall’Afghanistan o dalla Siria pensasse che è meglio viaggiare su un caicco di legno nel mar Ionio invece che prendere un aereo. Chissà cosa metteranno nella comunicazione istruttiva da concordare con i talebani afghani: le foto dei morti di Cutro?

Casomai qualcuno sopravviva al mare e riesca ad arrivare in Italia lo stesso, il governo riduce la protezione speciale, che evita l’espulsione di chi in patria può essere vittima di persecuzioni o possa finire in uno stato in cui è esposto agli stessi rischi.  

Parlare d’altro

Tutto quello che viene inserito nel decreto approvato in Calabria dal Consiglio dei ministri non c’entra nulla con i morti. Perché riguarda gli scafisti e i trafficanti, che sono i primi responsabili delle morti, certo, ma innalzare le pene potenziali salva le vite di chi parte comunque?

Molti dei trafficanti – soprattutto in Libia – hanno addirittura beneficiato dei soldi italiani, qualche anno fa veniva addirittura teorizzato che bisognava indennizzare i signori del traffico sulle coste in modo da evitare che facessero partire i barconi.

 Molti degli scafisti finiti in carcere in Italia sono migranti che si sono prestati a guidare i barchini in cambio del viaggio gratis, altri sono finiti in galera per scambi di persona.

L’idea che dall’Italia i pm e gli investigatori riescano a smantellare le reti del traffico in paesi lontani dove le commistioni tra trafficanti e governo sono frequenti, è propaganda, non una promessa.

Agli inizi della polemica sul ruolo delle Ong, quando i pm siciliani hanno iniziato ad arrestare gli scafisti che guidavano navi grandi e stracariche, il traffico si è adeguato e i migranti venivano abbandonati direttamente in mare davanti alle coste libiche in attesa che qualcuno li salvasse ma a distanza di sicurezza dalle procure italiane.

Il disprezzo per le vittime

L’unico punto fermo del Consiglio dei ministri è che dopo una tragedia da 72 vittime il governo non ha intenzione di potenziare in alcun modo i soccorsi in mare e neppure rivedere le procedure.

Va tutto bene così, perché qualche migrante lo salviamo pure e quelli che muoiono sono vittime della malasorte e delle loro decisioni irresponsabili di partire. Questa la linea del governo.

Almeno è apprezzabile la coerenza di Meloni che non è mai andata a rendere omaggio alle bare dei bambini in fila nel palasport di Crotone o a confortare i superstiti tenuti per giorni in condizioni precarie.

La premier non avrebbe saputo che dire loro se non “potevate pensarci prima”. Meglio che sia stata a Roma o in giro per il mondo.

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