Nel 1983, il capo di stato maggiore dell’Unione sovietica, Nikolai Orgakov, aveva notato come il potere militare fosse sempre più basato sulla tecnologia e, già allora, al centro della tecnologia ci fossero i computer. Mentre i computer erano ampiamente disponibili in tutta la società americana, notava Orgakov, in Unione sovietica erano pochi, costosi e non molto avanzati.

Per raggiungere gli Stati Uniti tecnologicamente, l’Unione sovietica avrebbe avuto dunque bisogno di una rivoluzione economica che permettesse di avere computer efficaci ed economici, concludeva. Ma, avvertiva, una tale rivoluzione economica avrebbe probabilmente richiesto una rivoluzione politica, rivoluzione politica che minacciava l’esistenza stessa dell’Urss.

Due anni dopo Mikhail Gorbaciov annunciava l’inizio di quella rivoluzione politica che, come sappiamo, avrebbe poi portato, appunto, al crollo dell’Unione sovietica.

Lo scorso 24 marzo Gordon Moore, uno dei co-fondatori di Intel e l’uomo che ha dato il nome a una famosa legge empirica. Se l’analisi di Orgakov sul potere militare era corretta (e ora sappiamo che lo era), Gordon Moore ha svolto un ruolo centrale nella fine dell’Urss - tanto centrale quanto ignorato da storici e politologi.

La fine dell’Urss

Per capire il collegamento tra Moore e la fine dell’Unione sovietica bisogna tornare al 1965 quando questi, in un breve articolo scritto per una rivista specialistica, notava come il numero di transistor per chip raddoppiava ogni 12/18 mesi. Quella semplice descrizione storica ha preso presto il nome di legge di Moore anche se legge non era.

I semiconduttori si basano sugli avanzamenti nella fisica dello stato solido, ma la legge di Moore, al contrario della legge della gravitazione universale, era un’aspirazione, un po’ economica, e un po’ sociologica: identificava un’opportunità e lasciava aperta la porta per chi voleva seguirla.

Quel qualcuno sarebbe stato proprio Moore che, insieme ad Andy Grove e Robert Noyce, nel frattempo aveva creato una start-up a Santa Clara. Il nome era Intel che poi, nel 1971, anche grazie al contributo di un italiano, Federico Faggin, avrebbe trasformato il mondo dei computer grazie al 4004, il primo microprocessore nella storia. Intel, in parte anche inconsapevolmente, ha fatto allora due scelte che si sarebbero rivelate poi fondamentali.

La prima era di produrre microprocessori generici, quindi utilizzabili per svariate funzioni. Ciò ha permesso a Intel di raggiungere enormi economie di scala, abbassare i costi e dunque massificare i microprocessori. La seconda era di continuare a investire per poter raddoppiare ogni 18 mesi il numero di transistor per chip, anche quando i mercati azionari erano in disaccordo – in altre parole, ha trasformato la profezia di Moore nel suo obiettivo.

Questi continui investimenti permettevano di sviluppare semiconduttori sempre più piccoli, performanti e a costi accettabili, ma richiedevano anche risorse crescenti. Così si è arrivati alla cosiddetta seconda legge di Moore, quella per cui il costo delle apparecchiature per fabbricare semiconduttori raddoppia ogni quattro anni. Legge che, di fatto, ha innalzato in modo drammatico le barriere all’ingresso per il settore dei semiconduttori.

La crescente complessità dei semiconduttori, la velocità del loro cambiamento tecnologico, e gli investimenti in costante aumento sono diventate ben presto barriere tecnologiche che l’Urss non poteva superare. Il resto lo hanno fatto gli strateghi del Pentagono, a partire da Andrew Marshall dell’Office of Net Assessment, che, insistendo sull’investimento in missili sempre più precisi, in comunicazioni in tempo reale e in sensori a lungo raggio, hanno capito come sfruttare nel campo della difesa le capacità tecnologiche sviluppate nella Silicon Valley.

La sfida cinese

Per comprendere l’importanza di Moore, basti dire che le sue intuizioni valgono e influenzano ancora oggi la competizione tecnologica con la Cina. In primo luogo, da oramai due decenni si discute se e quando la prima legge di Moore si interromperà. Molti ritengono che la miniaturizzazione non sia più possibile e dunque sia necessario ripensare l’architettura attorno a cui sono costruiti i computer moderni: la centralità, e competizione, del quantum computing per il futuro sta tutta qui.

In secondo luogo, le due leggi di Moore aiutano a spiegare molto efficacemente come mai la Cina non sia ancora riuscita a sviluppare i semiconduttori più avanzati. I crescenti costi degli impianti produttivi per semiconduttori sono collegati alla complessità dell’intero processo industriale che, proprio per questa ragione, si è progressivamente globalizzato, con il disegno dei chip a Santa Clara (Nvidia), usando macchinari olandesi (ASLM) per produrre a Taiwan (TSMC).

Riuscire a superare l’efficienza ed efficacia della globalizzazione non è realisticamente fattibile per un paese, a dispetto delle sue dimensioni e dei suoi investimenti. Se quindi la Guerra fredda è finita a favore dell’occidente e l’assertività cinese è ancora ostacolata dalla dipendenza da tecnologia straniera, parte del credito va dato a Gordon Moore.

© Riproduzione riservata