Del partito mattarella-resti non se ne può più. Meglio cambiare discorso, rilassarsi con una buona pagina di storia. Giunto alla fine del suo secondo mandato, George Washington chiese al suo fedele collaboratore Alexander Hamilton di aiutarlo a stendere una bozza di discorso.

«Oh sì, ora che Jefferson se ne è andato lo faremo a pezzi».
«Guarda che intende presentarsi alla presidenza». 
«Meglio ancora; che ci provi a batterti!». 
«Non hai capito; io non mi presenterò». 
«Cosa?!». 
«Stendiamo un discorso di addìo; insegnamo alla gente come andarsene con dignità, non prendendo parte ai conflitti tra fazioni». 
«Ma diranno che è una prova di debolezza». 
«No, sarà una prova di forza; soltanto se lascio la nazione imparerà a muoversi da sola».

Lasciare il campo

Non sappiamo se un dialogo è mai avvenuto in questi termini, come lo ha immaginato Lin-Manuel Miranda, autore della nota opera Hamilton, e come lui stesso e il suo gruppo lo hanno cantato alla Casa bianca in occasione dell’addio di Obama.

Nel 1797 giungeva a scadenza il secondo mandato quadriennale di Washington. La costituzione non vietava ulteriori mandati, e per molti era inteso che l’eroe della rivoluzione, il padre della patria, sarebbe rimasto in carica, quasi fosse insostituibile. E invece Washington, che forse dopo tante battaglie aveva anche un sincero desiderio di ritirarsi nella sua tenuta di Mount Vernon, pensava che lasciando il campo e avviando un normale meccanismo di alternanza avrebbe contribuito a placare le lotte fratricide che dividevano il campo politico del tempo.

L’alternanza

Come volevano le scritture, ciascuno si sarebbe seduto in pace all’ombra delle sue vigne e degli alberi di fico senza temere minaccia alcuna. Washington lo aveva ripetuto in più occasioni, delineando la pace, una quieta pace rurale, finalmente conquistata dalla nazione.

Col suo equilibrio, con la sua equidistanza da partiti e fazioni, intendeva difendere un assetto democratico ancora in costruzione pur sapendo, e proprio perché sapeva, che la democrazia poteva comportare laceranti tensioni.

A quell’epoca forti contrasti politici attraversavano lo stesso gabinetto, e tra Hamilton e Jefferson si erano svolte lotte senza quartiere, attorno a questioni vitali come l’unificazione bancaria e le politiche fiscali. Si comprende perché i sostenitori di Washington lo volessero ancora alla presidenza.

Ma era anche sua convinzione che la democrazia avrebbe dovuto essere affidata al normale susseguirsi dei leader, e non alla beatificazione di un ottimo presidente. Rimanere in carica avrebbe quasi potuto dare l’idea di una carica vitalizia. Era dunque un sostenitore del limite dei due mandati, che sarebbe stato deciso più tardi. Soltanto la forte coesione tra le diverse realtà del paese, sosteneva Washington, tra gli interessi del nord e quelli del sud, potevano rafforzarlo. Regionalismo, spirito partigiano, e legami con potenze straniere (era il tempo della rivoluzione in Francia...) erano infatti i nemici peggiori da cui difendersi.

© Riproduzione riservata