«Benvenuti in Corea del Nord», scriveva Giorgia Meloni in piena pandemia a proposito di un’ospitata di Conte a Domenica In. Ironia della sorte, adesso c’è lei, in collegamento con zia Mara, al posto dell’avvocato del popolo. Lo sfondo è il Colosseo, i commensali sono Ferilli, Bonolis e Gualtieri, la domanda è scomoda: un ricordo della presidente dei suoi pranzi della domenica. Parole chiave «pastarelle», «nonni», «famiglia», manca giusto «abbiocco» e l’idillio domenicale è completo.

Mentre Meloni e Ferilli parlano di diplomatico – che fosse l’allusione al dolce un messaggio in codice di compagna Sabrina per chiedere trattative di pace? D’altronde andiamo avanti ad angurie da due anni – Pontida si tinge di nero per il martire Kirk e per far sentire a suo agio il generale Vannacci, che col colore ha una certa familiarità. «Più spiedo meno kebab» è l’urlo che parte dalle praterie non-violente e sensibili (soprattutto delle sorti vesuviane) dei leghisti contemporanei: anche in questo caso il cibo è protagonista.

Quella della destra d’oggi, tra selfie con Nutella e cronache dagli orti, spaghettate da Re Carlo e pranzi istituzionali con hamburger e patatine, è in effetti una grande mossa di rebranding: se non puoi sconfiggere il «magna magna», fattelo amico.

Mangiare e mangeremo, il mondo si annichilisce con video di foodporn, i ristoranti ricoprono ogni millimetro di suolo pubblico, perché allora comizi, striscioni e candide apparizioni nella domenica pomeriggio degli italiani dovrebbero perdersi il trend? Craxi parlava di clima infame. Togliamo «in» e lasciamo solo «fame».

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