Ma cosa c'è davvero sotto Capaci? Cosa si nasconde nel labirinto che ha trascinato in un gorgo un maresciallo dei carabinieri, colpevole di niente eppure sotto processo militare per cinque lunghissimi anni? Cosa c'è nel sottosuolo di Capaci, in fondo a un'area di verde agricolo che a tutti i costi vorrebbero trasformare a uso commerciale per ricoprirla di colate di cemento, negozi e cinema, parcheggi e cotillon? Sotto Capaci ancora oggi forse sono seppelliti segreti.

È il 23 maggio, trentunesimo anniversario dell'uccisione di Giovanni Falcone, e nel comune che ha dato il nome alla strage è ambientata una storia senza fine e dai misteriosi confini. A prima vista sembra una faida paesana un po' cruenta, in realtà è un intreccio affaristico con sfumature mafiose che si confonde con qualcos'altro di indicibile.

La relazione insabbiata

Tutto parte con la cacciata di un maresciallo dei carabinieri, Paolo Conigliaro, comandante della stazione di Capaci dal 2013 al 2018. Il luogotenente Conigliaro indaga, scopre contiguità nell'amministrazione, sente puzza intorno a una variante del piano regolatore, invia ai suoi superiori «una proposta di accesso agli atti» in comune, primo passo per un eventuale scioglimento.

Relazione insabbiata, mai trasmessa in prefettura. Tuttavia qualche elemento c'è: frequentazioni di assessori con personaggi condannati per 416 bis; un monopolio dei lavori del movimento terra; presunte attività di voto di scambio; processioni religiose con inchini di santi e madonne davanti all'abitazione di un boss. Da quel momento inizia il calvario del maresciallo.

Prima provano a incastrarlo con accuse ridicole, poi lo isolano, lo mandano via dalla sua stazione nonostante un impeccabile stato di servizio, poi ancora diffondono voci che è un millantatore, un visionario. Il luogotenente Conigliaro è semplicemente un “disturbatore” della quiete pubblica, una voce molesta in un paese siciliano che non vuole impiccioni fra i piedi. Dopo approssimative indagini su un'inesistente diffamazione nei confronti di un generale consumata in una chat privata, un'indagine subito archiviata dalla magistratura ordinaria e tre dibattimenti davanti a quella militare conclusasi con sentenza di assoluzione in Cassazione proprio ieri l'altro.

La motivazione: «Questo processo non doveva neanche cominciare». Ma purtroppo è cominciato, con il maresciallo sottoposto ad angherie e umiliazioni di ogni genere come un'ispezione corporale alla ricerca di fantomatiche schede telefoniche.

Avvertimenti a giornalisti

La vicenda è finita nelle aule della commissione parlamentare Antimafia. Sono affiorati avvicinamenti e avvertimenti a giornalisti, le mediazioni di faccendieri già noti per la loro prossimità a senatori della Repubblica, omissioni da parte di ufficiali dei carabinieri in qualche modo vicini al cosiddetto “sistema Montante” e pure interessi dello studio legale Schifani – quello del presidente della Sicilia – che assiste gli imprenditori che puntano sull'area commerciale a Capaci.

Passato così tanto tempo e appurato che contro il maresciallo vi è stata una vera persecuzione, viene da pensare che le smanie speculative degli amici di Montante & C. non bastino a giustificare cosa è accaduto al luogotenente Conigliaro. C'è probabilmente qualcosa di più, perché hanno fatto carte false per sporcare la sua bella divisa di carabiniere. Forse la procura della Repubblica di Palermo potrebbe avere adesso, dopo tanti anni, la curiosità di capire cosa c'è sotto Capaci.

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