Il dibattito culturale italiano di quest’estate è partito dalla presa in giro di un personaggio della cultura. Il caso Alain Elkann è stato il prototipo. Le imbarazzanti lamentele sui giovani d’oggi che vestono e parlano male, e manco lo riconoscono, sono state ampiamente sbeffeggiate. Mettiamo un attimo da parte il fatto che si possa eccepire sull’assunto che Elkann faccia parte del mondo culturale poiché piuttosto rappresenta l’élite capitalista non conquistata ma acquisita per via dinastica. Ciò che conta è che sia percepito come intellettuale e che lui si ponga come tale. Di seguito è arrivato il caso di Chiara Gamberale a lagnarsi di overbooking e dei voli low cost.

Il tema comune è l’indignazione popolare trasversale (di destra e sinistra) verso qualcuno percepito (giustamente o ingiustamente) come privilegiato che assurdamente si lamenta di fatti noti a tutti (l’esistenza di stili umani a lui sconosciuti, la difficoltà di viaggiare). Tra i due casi (Elkann e Gamberale) è arrivata l’indignazione verso Fassino che ha cercato di difendere l’idea che uno stipendio da parlamentare sia tutt’altro che dorato. Rinnegato da sinistra per la sostanza e i modi di quest’affermazione, ha fatto molto divertire la destra ed è stato difeso soltanto da qualcuno al centro poiché, si è detto, è stato l’unico ad avere il coraggio di opporsi al qualunquismo populista che vorrebbe svalutare il lavoro della politica di professione. In ogni caso, anche in questa estate 2023, sembra di essere ancora impantanati nell’onda lunga populista che tutto ha travolto (politica, cultura, élite di ogni tipo).

Il caso Murgia

Apparentemente immune a questa tendenza è il caso di Michela Murgia. Amata da molti, detestata e insultata da altrettanti ha vissuto negli ultimi anni da vera intellettuale social. Non voglio qui ripercorrere la molteplice attività sui tanti canali social e tradizionali in cui Michela Murgia si era spesa fino alla fine. Voglio piuttosto notare che l’enorme differenza tra la percezione pubblica di Murgia e i casi citati sopra.

Sebbene in moltissimi non siano stati d’accordo con le sue prese di posizione su femminismo, patriarcato, fascismo, uso del linguaggio e tanto altro, l’attacco populista tipico – dici certe cose solo perché sei privilegiata – non ha attecchito nei suoi confronti. Qualcuno a destra l’ha evocato, ma con scarso successo perché Murgia ha potuto realmente mostrare una storia personale immune da questo attacco. Ma anche perché la sua presenza pubblica, su giornali, televisioni, social e podcast è stata coerente con il suo pensiero.

Detto questo, il confronto tra Murgia e le altre gaffes comunicative di cui sopra potrebbe chiudersi semplicemente dicendo che lei è stata capace di gestire la propria figura in diversi canali mentre altri non lo sono stati. Ma c’è un’implicazione più generale e interessante che forse si può trarre.

Gianfranco Pellegrino ha giustamente sostenuto che Murgia è stata lasciata sola dai tanti che, pur condividendo molte delle sue battaglie, non le hanno sostenute pubblicamente come ha fatto lei. Quindi Pellegrino ha invitato a colmare questo buco di impegno e presenza pubblica. Ma come evitare che l’impegno pubblico non si scontri con un ancora diffuso pregiudizio populista che squalifica le battaglie di principio come aliene dalla quotidianità e di pertinenza solo dei privilegiati?

Credibilità e capacità 

Come le gaffes comunicative da cui siamo partiti mostrano, la presenza pubblica dell’intellettuale (così come del politico) al giorno d’oggi richiede credibilità e capacità che non possono essere date per scontate. La credibilità ha a che fare con la coerenza del messaggio con la persona che lo veicola. Le capacità consistono, invece, nell’abilità di poter esprimersi adeguatamente nei diversi canali.

Tutto questo non sembra costituire niente di nuovo. Ma nella realtà pubblica odierna, la costruzione di credibilità e abilità comunicative è insidiosa poiché si esercita soprattutto mettendo in campo la propria persona sui social. Questa presenza della persona è tanto un portato della tecnologia che rende possibile la moltiplicazione del messaggio sui social, quanto un assunto del populismo (“ti credo solo se ti vedo come persona”).

In tal senso le gaffes di cui sopra non indicano necessariamente un rifiuto populista della voce pubblica dell’intellettuale impegnato. Esprimono invece il bisogno di una figura pubblica che non dia per scontata la propria autorevolezza in virtù della propria posizione intellettuale o politica. Anche se questa conclusione sembra banale, poiché la credibilità di chi emette il messaggio e l’adeguatezza del messaggio sono sempre stati dei requisiti di una comunicazione efficace, al giorno d’oggi la sfida dell’intellettuale (e del politico) impegnato è più onerosa.

È per questo che, come suggerito da Pellegrino, non ci si può limitare a esigere che intellettualità e politica siano credibili e capaci, ma si deve anche riconoscere che chi si prende questo onere dovrebbe essere accompagnato da una più vasta discussione pubblica.

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