Se da una parte in Russia si continua ad alimentare l’ansia atomica, dall’altra in occidente ci si abitua senza troppo reagire. È irragionevole da parte russa continuare a citare la guerra nucleare come una possibilità reale: nei talk viene sovente evocata, quasi ultimo ricorso per prevalere. È un’ammissione di debolezza: a fronte di una conduzione della guerra disastrosa la bomba sembra essere l’ultima chance per mantenere lo status di superpotenza. Ciò che preoccupa ancor di più è che autorevoli commentatori definiscono l’uso dell’arma finale come «decisione difficile ma necessaria».

Non si tratta soltanto di una nevrosi russa: dall’altra parte della barricata se ne discute come di un’eventualità. Fioriscono descrizioni e analisi sui media su cosa potrebbe accadere. Anche in Europa ci stiamo abituando alla guerra nucleare “controllata”, come se si trattasse solo di una forma di conflitto un po’ più forte. Si è passati dalle armi leggere, a quelle anticarro, ai blindati, agli aerei da caccia, ai missili dalle diverse gittate, ai proiettili a uranio impoverito ed ora… all’arma atomica tattica.

Il termine “tattico” è fuorviante: se verrà usata l’arma nucleare ci proietterà in un altro mondo, sconosciuto e completamente diverso da quello attale. Cadrebbe l’ultimo tabù mai oltrepassato durante la guerra fredda, a dimostrazione che l’odio ingenerato da questa guerra è più forte e più profondo di quello dello scontro bipolare.

Una situazione senza ritorno è ad un passo e occorre reagire. Non basta dire che si tratta di paranoie russe: pur assumendo di aver di fronte un regime fuori controllo, si deve far di tutto per evitare che giunga alle estreme conseguenze. Altrimenti saremo tutti ritenuti responsabili. Così ci guarda il sud globale: percepisce che tra russi e occidentali ci si è messi su un piano inclinato che non si arresta e rischia di fare effetto palla di neve, travolgendo anche loro.

L’inverno nucleare

Se avvenisse – Dio non voglia – l’irreparabile, ogni stato in possesso dell’arma nucleare (o in procinto di averla) si sentirebbe in diritto di usarla. Rotto il tabù, saremmo di fronte al buco nero dell’inverno nucleare per tutti. Tardi sarebbe a quel punto additare chi ha iniziato per primo: non avrebbe più importanza. A noi occidentali verrebbe chiesto perché non abbiamo fatto tutto il possibile per evitarlo, non cercando la vittoria ma tornando sul terreno pragmatico della politica.

Oggi i pragmatici sono coloro che vogliono il negoziato per evitare il peggio, mentre chi punta sull’escalation militare appare come intrappolato in un candore ideologico. Siamo ben oltre le ragioni e i torti ormai: dovremmo esserne consapevoli. La missione del cardinale Matteo Zuppi inviato di papa Francesco, ha iniziato con intelligenza e risoluta mitezza ad aprire canali e ad intravvedere soluzioni ai problemi umanitari. È ora che la politica colga tale opportunità e faccia la sua parte. Davanti alla possibilità di guerra nucleare c’è una sola cosa da dire: ora basta! 

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