Mentre in Ucraina gli attacchi russi continuano senza sosta e senza tregua nemmeno per i civili in fuga dalle città, sempre più drammatica diventa la condizione delle donne e dei soggetti più fragili: anziani e bambini. Come in ogni conflitto, sono soprattutto loro a essere inevitabilmente più esposti a violenze e atrocità fisiche, psichiche, morali.

Questo 8 marzo non può quindi non imporci il dovere della mobilitazione al fianco e a sostegno delle donne ucraine vittime dei più disparati crimini di guerra. Proprio nei giorni scorsi il ministro degli esteri di Kiev Dmytro Kuleba ha denunciato che donne e ragazze sono già purtroppo prede di stupri e sevizie.

Violenze sessuali commesse dai militari di Vladimir Putin come già accaduto nel Donbass durante le operazioni che hanno accompagnato l’invasione russa della Crimea nel 2014 e su cui la Corte penale internazionale ha aperto un’inchiesta.

Spesso ci siamo occupati, anche come Commissione diritti umani del Senato, di denunciare l’orrore dello stupro utilizzato come arma di guerra. Un crimine sistematicamente perpetrato per spezzare la resistenza della popolazione o, nei casi più estremi, per portare a termine un’operazione di pulizia etnica o di genocidio.

Anche il presidente dell’Ente delle Nazioni unite per l’uguaglianza di genere, Sima Bahous, è intervenuto su quanto sta accadendo in Ucraina, sulle violenze sessuali di cui sarebbero vittime le donne ucraine che come sfollate e rifugiate sarebbero particolarmente esposte a violenza di genere, e ha esortato il mondo a non voltarsi dall’altra parte.

La voce

Un appello che va decisamente e concretamente accolto affinché la condizione di donne, bambine e bambini diventi e resti una priorità a livello internazionale, in cima alle preoccupazioni e agli impegni dei leader del mondo impegnati in queste ore a contrapporsi all’avanzata di Mosca in Ucraina e per garantire concreto sostegno al presidente Volodymyr Zelensky e al suo popolo.

Ci sono donne, non solo in Ucraina ma anche in Russia, che stanno piangendo i loro figli, i loro mariti, i padri, i fratelli caduti in combattimento. Ci sono donne in fuga sotto le bombe, costrette a lasciare le loro case con lo stretto indispensabile per mettere in salvo se stesse e i figli piccoli e a salutare, forse per l’ultima volta, i propri uomini al confine.

Ci sono donne che stanno prendendo in consegna bambini e bambine che sconosciuti affidano loro prima di tornare indietro a combattere o a prendere altri parenti. Ma anche donne che non possono scappare dall’Ucraina e nemmeno da casa loro per ripararsi nei bunker perché madri di figli gravemente malati, disabili, intrasportabili e che restano quindi ostaggio delle loro mura esposte ai lanci di missili e bombe.

Storie di disperazione ma insieme anche di incredibile dignità e forza, storie di donne dalle vite devastate per sempre e che pure non si arrendono. Alcune stanno scegliendo di combattere nelle file della resistenza, in prima linea o nelle retrovie.

Cambio repentino

Donne che fino a pochi giorni fa erano politiche, manager, insegnanti, dottoresse, impiegate e che oggi stanno imparando ad imbracciare un fucile e a sparare. Che vogliono difendere il loro paese, rischiando la loro stessa vita come gli uomini ma, a differenza degli uomini che tra i 18 e i 60 anni sono obbligati a restare in Ucraina, nel loro caso da volontarie.

Una scelta di coraggio, dignità e forza estreme pari a quella necessaria a portare in salvo anziani e bambini lungo rotte pericolose e senza sapere quale sarà l’approdo, che accoglienza troveranno, a quale tavola potranno mangiare, in quale letto faranno dormire i loro piccoli.

E che dire delle donne che, sfidando pestaggi, arresti, vendette, stanno manifestando contro Putin e contro la guerra nelle piazze russe? O che decidono, come la direttrice del Meyerhold Center, il teatro statale di Mosca Elena Kovalskaya, di lasciare i loro incarichi in segno di protesta?

Volti e voci straordinarie di giovani e anziane, studentesse e lavoratrici che stanno mandando un messaggio dirompente al dittatore Putin, alla sua corte, agli oligarchi russi, all’intero sistema economico, sociale, militare del paese ma anche al resto del mondo per dire che la difesa della libertà viene prima anche di quella della vita.

Una realtà che non trova alcuna corrispondenza sui tavoli di guerra dove né tra russi né tra ucraini ci sono figure femminili. Sono tutti uomini i delegati che in questi giorni tentano di negoziare una difficile tregua tra i due paesi, tra aggressore e aggredito.

Come sono presenti solo uomini anche nei consigli di guerra che si svolgono a Mosca. Assenti ai tavoli dove si decide la guerra, le donne sono però presenti ovunque la si subisce. E contrappongono amore, protezione, coraggio, speranza laddove c’è odio, violenza, prepotenza e morte.

L’Europa, la comunità internazionale, il mondo libero devono fin da subito rimettere le donne al centro di ogni tavolo di discussione, confronto e iniziativa perché se sono le donne le vittime più esposte in ogni conflitto, è anche vero che è dal coraggio, dalla forza, dall’intelligenza delle donne che dalle macerie sarà possibile ricostruire un futuro di pace.

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