«Ci sono persone troppo pronte a ricorrere alla guerra e decisamente troppo lente a trovare soluzioni». Non sono soltanto parole quelle pronunciate pochi giorni fa dall’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi. Rappresentano piuttosto la fotografia di una tendenza che da molti anni non conosce nessuna inversione, le cui conseguenze sono la devastazione e la fuga forzata di milioni di persone.

La guerra in Ucraina e gli altri conflitti, senza dimenticare gli sconvolgimenti della crisi climatica, sono infatti le cause che hanno determinato lo sradicamento dalle loro case e dai loro paesi di 110 milioni di persone, 19 milioni in più rispetto all’anno precedente. Il 52 per cento dei rifugiati proviene da soli tre paesi: Siria, Ucraina e Afghanistan

E se questi numeri non fossero sufficienti a chiarire la gravità della situazione, allora va aggiunto che il 41 per cento delle persone costrette alla fuga sono bambini, il cui futuro rischia di essere segnato da reclutamenti forzati e matrimoni precoci e compromesso per sempre.

Martedì 20 giugno si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato, un’occasione per esprimere solidarietà a rifugiati, sfollati e apolidi ed elogiarne la resilienza ma anche per parlare di soluzioni. Purtroppo, la comunità internazionale sembra esserne a corto. I leader mondiali continuano a non riuscire a risolvere i conflitti in corso, lasciando milioni di persone nell’impossibilità di tornare a casa. Eppure le soluzioni esistono, richiedono un paziente lavoro nello spirito di riconciliazione e condivisione delle responsabilità che ha ispirato anche il Global Compact sui rifugiati.

Mettere fine alle guerre

Prima di tutto, bisogna tornare al dialogo con l’obiettivo di porre fine alle guerre, l’unico vero antidoto alle migrazioni forzate. È necessario poi migliorare le condizioni dei paesi di primo asilo e di transito, investendo in Africa e in altre parti del mondo. In questo senso il piano Mattei può rappresentare un quadro di collaborazione tra Europa e Africa al fine di promuovere la crescita economica e gli investimenti in aree strategiche e contribuire così anche allo sviluppo e alla stabilizzazione delle popolazioni locali e dei rifugiati  nei paesi più fragili e lungo le rotte migratorie. I

noltre, proprio perché gli esili diventano sempre più lunghi i rifugiati vogliono e devono essere messi nella condizione di riprendere in mano la loro esistenza. Questo vuol dire riconquistare una nuova autonomia e non vivere solamente di aiuti umanitari. Ogni rifugiato porta con sé un bagaglio di qualità umane, competenze e talento. Accoglierli, superando pregiudizi e paure, significa offrire loro la possibilità di ricominciare a contribuire attivamente.

Vera accoglienza

La definizione “rifugiato” non implica una condizione perenne bensì esprime uno status giuridico che si riflette nel diritto alla protezione internazionale. Dietro l’espressione “rifugiato” ci sono medici, ingegneri, sportivi. Persone che vogliono partecipare allo sviluppo delle società nelle quali hanno trovato protezione. D’altronde, l’Europa e l’Italia invecchiano sempre di più. Il contributo dei rifugiati e degli immigrati è importante anche per tenere in piedi le nostre economie e garantire la sostenibilità delle politiche sociali, dei sistemi sanitari e delle pensioni.

Siamo fieri ad esempio dei risultati di Welcome, un programma che in cinque anni ha permesso l’attivazione di oltre 22mila percorsi professionali in oltre 500 aziende, con quasi 9.300 rifugiati inseriti nel mondo del lavoro nel 2022.

Le imprese italiane hanno costante bisogno di forza lavoro e molti fra i rifugiati che arrivano nel nostro paese hanno le competenze che il mercato richiede. In questo senso, apprezziamo la scelta delle forze parlamentari e del governo di aver inserito nella legge n. 50/2023 una quota di ingressi per lavoro per rifugiati e apolidi e siamo pronti a costruire i primi corridoi lavorativi.

Si tratta di un’altra misura da affiancare al reinsediamento, ai corridoi umanitari ed educativi, e quando possibile, al ritorno a casa, quello che molti rifugiati desiderano di più. Offrire soluzioni adeguate e tempestive, lungo le rotte migratorie, è l’unica risposta per prevenire le tragedie che si ripetono, con il loro carico di morti.  

Tutti traiamo beneficio dai legami e dall’appartenenza. Per i rifugiati, sentirsi accolti significa ritornare a sperare. Accettiamo quindi il loro contributo e valorizziamo il loro talento. Il costo dell’esclusione – economico, sociale, morale, storico – è di gran lunga superiore a quello dell’inclusione.

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