L’allarme criminale che sta consumando il capoluogo siciliano, che sembra diventato come tutte le altre grandi metropoli italiane, non si può raccontare solo con il fallimento della politica di sicurezza della destra. La mafia ha perso il controllo del territorio, ma anche lo stato è nella stessa situazione. Questa escalation di terrore nasconde un rischio molto più grande
La paura sta trascinando Palermo in una normalità che fa venire cattivi pensieri. Ci sono bande che danno l'assalto alla città come mai era accaduto prima, uccidono ragazzi, ci sono sparatorie nel centro storico, partono fucilate che colpiscono passanti. È una movida insanguinata che mette sottosopra Palermo e la fa tremare. La mafia delle fasce basse, le facce sconce del crimine, non controlla più il territorio. Fino a qualche anno fa erano impensabili le aggressioni dei cani sciolti, gli attacchi ai negozi eleganti fra via Ruggiero Settimo e piazza Politeama, le incursioni nei locali sottoposti alla legge del pizzo. A Palermo era vietato rubare, era vietato rapinare, era vietato delinquere.
Oggi sembra diventata come tutte le altre grandi metropoli italiane, oggi quella mafia ha perso il controllo del territorio. Una realtà assolutamente positiva se non fosse per un altro aspetto che si tende con ipocrisia a nascondere: il controllo del territorio nella capitale della Sicilia l'ha perso anche lo stato.
La sicurezza ai privati
È di un paio di giorni fa l'annuncio del sindaco Roberto Lagalla dell'ingaggio di vigilantes - una quarantina - per sorvegliare in queste feste le zone di maggiore afflusso turistico «e dove insistono beni comunali». Non bastano più poliziotti e carabinieri e soldati, non basta la polizia municipale, adesso sono arrivate le guardie della Securtrans a piantonare incroci e vicoli.
Un segnale devastante per una città che dopo le stragi in qualche modo si sentiva (in parte) liberata e che guardava più al futuro che al passato. Una rinuncia al potere sovrano dello stato in favore di una sicurezza affidata a privati.
Su queste pagine avevamo già scritto, nell'ottobre scorso, di come fossero bugiarde le statistiche del crimine fornite dal ministero dell'Interno e quanto fossero poco confortanti le parole del prefetto Massimo Mariani su una criminalità «che è un problema di percezione». Sfornava numeri che davano in calo i reati del 2025 rispetto a quelli 2024, dati fuorvianti, calcoli burocratici lontani dalla vita di ogni giorno dei palermitani.
Chi vive a Palermo e chi conosce Palermo sa bene che le cose ormai stanno ben diversamente, chi vive a Palermo e chi conosce Palermo si ritrova catapultato in un dramma inaspettato. Perché l'allarme criminale che sta consumando la città non si può raccontare solo con il fallimento della politica di sicurezza della destra, c'è un rischio molto più grande che corre Palermo per questa escalation di terrore che l'ha trasportata in un gorgo.
Il vero rischio
Nel silenzio generale, per spiegare cosa sta avvenendo in questi mesi, si è alzata la voce di Patrizia Di Dio, imprenditrice nel campo della moda, presidente di Confcommercio Palermo e vicepresidente nazionale di Confcommercio Imprese: «Non vogliamo che questa mancanza di sicurezza possa contribuire a disperdere il grande lavoro collettivo svolto».
Alle preoccupazioni dell'imprenditrice Di Dio si potrebbe aggiungere un timore ancora più grave: non è che questa violenza sta ricacciando indietro la città a tal punto da far rimpiangere a molti palermitani i tempi che furono, quando il territorio era controllato da quelli, quando a Palermo era semplicemente inimmaginabile il delitto di strada, lo sfondamento delle vetrine di una bottega, le pistolettate del sabato sera.
Ecco i cattivi pensieri che attraversano Palermo. Aggrapparsi a un passato dove tutto ciò non era possibile perché il grande crimine non permetteva l'esistenza del piccolo crimine, rammaricarsi per quella mafia che non c'è più, per i boss che sono e non fanno più i boss e quindi la città è preda di bande incontrollabili.
Altro che politica di sicurezza, altro che statistiche ministeriali, Palermo si gioca tanto per questa «percezione del pericolo» come l'ha definita il prefetto. Si gioca tutto se il sindaco è costretto a ricorrere ai servizi dei vigilantes perché le forze di polizia non sono in grado da sole a garantire l'ordine pubblico.
Chi guarda soltanto le statistiche è cieco e non vuole bene a Palermo.
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