«Un’Ave, un Padre e un Gloria pò fa’ cambia’ la storia», prega Aldo Fabrizi nella bellissima parodia cinematografica del ’73 di Tosca, a firma di Luigi Magni. Bella quasi quanto l’originale di Puccini. Quasi. Chissà se papa Francesco l’ha mai vista, lui che ama il buon cinema, a quanto è dato sapere. Ci sentiamo vivamente di consigliargliela, ma comunque siamo certi che il Santo Padre avesse altri e ben più alti riferimenti in mente, quando venerdì scorso, con atto solenne, in unione con tutti i vescovi del mondo, ha consacrato al Cuore Immacolato di Maria la Russia e l’Ucraina – pe’ fa’ cambia’ la storia, appunto.

Da queste colonne, già Marco Grieco ha spiegato il valore politico di quella consacrazione, e non si potrebbe scrivere di più e meglio. Forse, quello che si può aggiungere è che quella consacrazione è coerente con la natura in-politica della Chiesa.

“In-politico” è un aggettivo che qualche anno fa ha coniato Gustavo Zagrebelsky, a proposito della Corte costituzionale, per dire che la Corte è immersa fino al collo nella politica quella buona, diciamo, quella della cornice di valori fondativi della società, ma allo stesso tempo è estranea alla politica quella brutta, cioè quella degli interessi particolari in conflitto tra di loro.

Se è lecito mutuare da tale fonte, la stessa cosa può dirsi della Chiesa (e dunque della consacrazione fatta venerdì dal Papa): sta nella politica buona, ma fuori dalla politica del contingente. (Che poi l’«essere» e il «dover essere» non sempre abbiano coinciso è problema comune dell’umanità, non solo di una parte).

I due risvolti

Vale la pena, dunque, segnalare due risvolti in-politici dell’atto di venerdì pomeriggio in San Pietro: il primo ad extra, verso il mondo; il secondo ab intra, interno al mondo cattolico.

Per entrambi è necessario richiamare la premessa storica della consacrazione, che – come è stato da diversi ricordato – risponde ad una precisa richiesta contenuta nelle rivelazioni della apparizioni di Fatima, del 1917. Quella richiesta condizionava espressamente la pace nel mondo ad una speciale consacrazione al Cuore Immacolato di Maria della Russia, che altrimenti avrebbe costituito una minaccia sempre più grave per l’umanità intera.

Il primo risvolto significativo sta proprio qui. Se l’atto di consacrazione del papa si pone in diretta relazione con quella richiesta divina – ed è fuor di dubbio che la relazione ci sia: il papa l’ha pronunciata davanti ad una immagine della Madonna di Fatima, ed ha incaricato un cardinale di fiducia di compierla a suo nome nello stesso momento nel santuario in Portogallo –, quell’atto riconosce che la minaccia per la pace viene dalla Russia.

Si tratta, dunque, di un atto di verità, con cui viene chiaramente identificato un responsabile – e la cosa non pare sinceramente attenuata dal fatto che, insieme alla Russia, sia stata consacrata anche l’Ucraina. Certo, è un responsabile indicato con delicatezza, con tutte le cautele del caso, nella carità, ma «la verità nella carità» è il motto della Chiesa dai tempi di San Paolo. 

Torniamo, però, al 1917. La richiesta divina andava nel senso di chiedere che il Papa consacrasse specificamente la Russia in unione con tutti i vescovi. Fino a venerdì scorso, c’era stato qualche Papa che qualcosa del genere l’aveva fatta, ma, a voler essere pignoli, senza soddisfare mai tutte le condizioni.

Pio XII consacra la Russia, ma senza unione coi vescovi; Giovanni Paolo II consacra il mondo, con un accenno solo indirettissimo alla Russia, sebbene pare fosse tentato di essere più esplicito. Ma era troppo rischioso, anche per il dialogo con il patriarcato di Mosca. Per questa ragione, un certo filone tradizionalista del cattolicesimo ha sempre recriminato all’autorità ecclesiastica di non aver voluto accogliere la richiesta del Cielo, e di essere per questo responsabile di ogni male dell’umanità.

Il filone tradizionalista

E qui è necessario un chiarimento, per chi di questo mondo ne sappia poco. Stiamo parlando, al netto di qualche approssimazione, di quello stesso filone tradizionalista che strizza l’occhio – o addirittura è allineato – con la spirale di teorie del complotto che negli ultimi due anni ha dato il meglio di sé.

Quelli che hanno pervertito la presunzione per cui ciò che viene dall’autorità è bene – insegnata dalla dottrina tradizionale della Chiesa – in una presunzione per cui tutto ciò che viene dall’autorità è male, complotto, frutto avvelenato asservito ad un progetto anticristico di nuovo ordine mondiale.

Non è questa la sede per indagare sulle ragioni antropologiche di questa deriva, ma vale la pena soltanto notare che questo filone non ha mai nascosto la propria attrazione fatale per Mosca. Questi cattolici si trovano molto più a loro agio con Kirill che inveisce contro le parate arcobaleno, che non con Francesco.

Allo stato attuale, il patriarcato di Mosca è una forza di conservazione molto più attraente per il mondo tradizionalista cattolico, di quanto non lo sia ormai la Chiesa di Roma. Si potrà discutere se questa involuzione reazionaria sia conseguenza di un allineamento tra trono e altare in Russia.

O se invece è conseguenza di certi caratteri del cristianesimo russo, che forse ha interiorizzato l’Incarnazione meno di quanto abbia fatto il cristianesimo occidentale, inclinando così ad una svalutazione dell’umano. Non è un caso che il ruolo di promozione umana che ha giocato il cristianesimo in Europa – si pensi solo agli ospedali – non trova forme analoghe in Oriente.

Ma comunque questo lo valuteranno altri, più competenti. Qui interessa solo far notare altro, e cioè che, per una sorta di eterogenesi dei fini, la consacrazione della Russia – da decenni oggetto di istanze del mondo cattolico tradizionalista – è stata fatta nel momento in cui è proprio la Russia la «terza Roma» verso cui questo mondo si rivolge compiaciuto più o meno dichiaratamente, ed è stata fatta da un Papa che proprio questo mondo non ha mai completamente digerito. Francesco, insomma, gli ha tolto l’arma dalle mani.

Chi conosce Tosca, o almeno il film di Magni, sa bene che quell’Ave, Padre e Gloria non servirono a granché. La battaglia di Marengo, pur con vicende alterne, fu vinta da Napoleone, l’austriaco von Melas sconfitto, e le preghiere di Fabrizi nei panni del Cardinal Vicario inesaudite.

Il tutto, mentre Scarpia, «bigotto satiro che affina colle devote pratiche la foia libertina», manda a morte Cavaradossi e insidia Floria Tosca. Speriamo proprio che questa volta, per il bene di tutti, le cose vadano un po’ diversamente.

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