Alla vigilia della terza settimana d’invasione russa dell’Ucraina, papa Francesco ha assecondato la richiesta dell’episcopato di Kiev, che con una lettera chiedeva la consacrazione del paese al Cuore immacolato di Maria. Durante la celebrazione della penitenza a san Pietro il 25 marzo prossimo, infatti, il pontefice consacrerà alla Madonna non solo il paese martoriato dalle bombe russe, ma anche la controparte belligerante. Accanto ai tentativi negoziali, che mercoledì 16 marzo hanno visto il patriarca Kirill e papa Francesco in collegamento video, il pontefice punta alla risoluzione del conflitto con una pratica pietistica strettamente legata alle apparizioni di Fatima dove, in contemporanea con la liturgia romana, il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere apostolico, officerà alla medesima consacrazione.

L’annuncio segue di due giorni la cerimonia nella chiesa del san Salvatore a Mosca, durante la quale il patriarca russo ha donato l’icona della madonna Theotokos al capo della Guardia nazionale russa, Viktor Zolotov, con l’auspicio della «protezione dell’esercito russo e la rapida vittoria».

La consacrazione alla vergine di Fatima, quindi, non può non essere un messaggio politico. Lo precisa lo storico Daniele Menozzi, autore del saggio Il potere delle devozioni. Pietà popolare e uso politico dei culti in età contemporanea: «Il culto mariano, così caro all’ortodossia, viene chiamato a intercedere per il conseguimento della pace, non per dare un contenuto religioso alla crociata contro la modernità occidentale. Si segna, così, la diversità della posizione del cattolicesimo romano rispetto alla linea del patriarcato di Mosca».

Apparizioni e conflitti

La consacrazione era una pratica di riparazione dalle guerre che hanno fatto da drammatico sfondo alle mariofanie di Fatima nel 1917, quando a tre bambini portoghesi la Madonna avrebbe rivelato il destino del mondo.

La più longeva dei cosiddetti veggenti di Cova da Iria, la religiosa Lucia dos Santos, scrisse a più riprese che la vergine avrebbe garantito un periodo di pace al mondo se la Russia fosse stata consacrata al suo cuore immacolato: «Il santo padre mi consacrerà la Russia, che si convertirà e al mondo sarà concesso un periodo di pace», scriveva la religiosa in un testo, in seguito vagliato dalla congregazione per la Dottrina della fede.

Da sempre l’opinione pubblica ha collegato le apparizioni portoghesi ai conflitti mondiali che hanno scandito il secolo breve. Nella lettera apostolica Sacro vergente anno papa Pio XII, in comunione con i vescovi portoghesi, consacrò «in modo specialissimo, tutti i popoli della Russia al medesimo Cuore immacolato».

Una seconda consacrazione avvenne per mano di papa Paolo VI nel 1964, davanti ai padri riunitisi a Roma per il concilio Vaticano II. Ma fu Giovanni Paolo II il pontefice che – secondo quanto lasciò scritto suor Lucia nella memoria nota come terzo segreto di Fatima – assecondò in toto l’auspicio mariano: era il 25 marzo 1984 e papa Wojtyła affidò al cuore immacolato di Maria tutti i popoli le «nazioni, che di questo affidamento e di questa consacrazione hanno particolarmente bisogno».

Secondo il teologo Andrea Grillo, in papa Francesco «l’intenzione si colloca nella continuità con Fratelli tutti, perché si vuole uscire dalla tentazione fratricida, unificando in Cristo ciò che mondanamente è diviso e in conflitto. All’intenzione di comunione, però, corrisponde un registro della preghiera e della celebrazione inadeguato, perché troppo condizionato dal mondo del 1917 e del 1942. Può funzionare come operazione politica, non come atto ecclesiale. Ma anche politicamente utilizza competenze non scontate, né sul piano giuridico né sul piano ecclesiale».

Il terzo segreto di Fatima

Pope Francis "feast of candles" during Holy Mass for the Solemnity of the presentation of Our Lord at St Peter's basilica at the Vatican. on Febraury 2, 2022 Photo by: Siciliani/Pool/Spaziani/picture-alliance/dpa/AP Images

La scelta di papa Francesco è nel solco della consacrazione di papa Giovanni Paolo II, anch’essa avvenuta il 25 marzo. È sufficiente il filo rosso che collega i due eventi a riaprire il discusso capitolo del terzo segreto che la Madonna avrebbe rivelato ai pastorinhos portoghesi, reso pubblico su ordine del papa polacco solo nel Duemila.

In un’intervista rilasciata a Repubblica il 19 maggio 2000, Joseph Ratzinger, allora prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, precisò che non esistevano «interpretazioni obbligatorie» del segreto, seppure la sua interpretazione teologica  ancorava l’uomo vestito di bianco delle apparizioni al Wojtyła ferito nell’attentato del 13 maggio 1981 per mano di Ali Agca.

Che legame sussiste oggi con la mariofania portoghese? «Non sappiamo ancora come papa Francesco intenda declinare la consacrazione, ma è difficile che possa completamente sottrarla all’eredità di un passato che la connette ad una dimensione politica, spiega lo storico Menozzi.

La consacrazione della Russia era tradizionalmente legata all’impetrazione della fine del comunismo, cui si attribuiva la causa dello scatenamento della seconda guerra mondiale. L’inserimento dell’Ucraina indica un distacco da questa tradizione, probabilmente per ricondurre la consacrazione al cuore immacolato di Maria alle sue prime origini. Nel 1917 era un atto che invocava la fine della Grande guerra».

Per il teologo Grillo, invece, un secolo dopo si paventa il «rischio di rimanere invischiati nelle categorie nate nei primi del Novecento, frutto di un pietismo obsoleto. La tradizione è molto più ricca dell’immaginario devoto di coroncine, consacrazioni, apparizioni di madonne sole, senza figlio, con messaggi pseudo apocalittici. Ben 1800 anni di esperienza ecclesiale parlano qui a sfavore di queste forme di tradizionalismo distorto, troppo unilaterale e troppo triste».

Ritorno al Novecento

Pope Francis "feast of candles" during Holy Mass for the Solemnity of the presentation of Our Lord at St Peter's basilica at the Vatican. on Febraury 2, 2022 Photo by: Siciliani/Pool/Spaziani/picture-alliance/dpa/AP Images

Al suo primo incontro con Vladimir Putin, il 25 novembre 2013, papa Francesco ricevette dal leader russo una copia dell’icona della madonna Thetokos di Vladimir, l’originale è conservata nella galleria Tret’jakov di Mosca, arrivata a Kiev dall’antica Bisanzio nel 1130.

Lo scambio dei doni avvenne nel nome della pace auspicata poco prima da Bergoglio in una lettera al presidente della Federazione russa, che allora era alla guida del G20: «Senza pace non c’è alcun tipo di sviluppo economico. La violenza non porta mai alla pace condizione necessaria per tale sviluppo […]. Ci sia, piuttosto, un nuovo impegno a perseguire, con coraggio e determinazione, una soluzione pacifica attraverso il dialogo e il negoziato tra le parti interessate con il sostegno concorde della comunità internazionale».

Oggi Francesco sceglie di rispondere al guelfismo di Putin e Kirill con un linguaggio novecentesco: «L’aspirazione alla comunione tra i popoli è uno dei contenuti fondamentali della fede cristiana e delle ragioni di esistenza della chiesa. La speranza di poter dire la profezia di comunione tra i fratelli in guerra mi pare certo necessaria, ma sproporzionata rispetto allo strumento scelto, che è troppo condizionato storicamente, linguisticamente e simbolicamente. Non sono certo che si possano accompagnare i tradizionalisti alla logica di Fratelli tutti, utilizzando un linguaggio in parte vecchio e in parte ingiusto e che non ha alcun fondamento nella tradizione precedente il 1917», spiega Grillo.

Lo storico Menozzi, invece, aggiunge: «Tra le motivazioni che hanno spinto Bergoglio a prendere questa decisione c’è proprio la sottrazione ai tradizionalisti di uno dei loro preferiti terreni propagandistici. Il papa riprende una devozione cui hanno attributo il valore di una contrapposizione alla chiesa conciliare e la risignifica per riservare alla presenza dei cattolici nel mondo contemporaneo un ruolo pacificatore».

Anche se questo inverte la sematica del suo magistero: «La novità di Francesco stava nella presentazione del metodo della non-violenza attiva come risposta evangelica al male della violenza bellica. Superava così la tradizionale dottrina della guerra giusta», continua lo storico.

«La consacrazione s’inquadra in una riproposizione dell’insieme degli atteggiamenti che si erano accompagnati in passato all’adesione del papato alla moralizzazione dei conflitti: deplorazione della guerra, attivazione dell'assistenza umanitaria, mobilitazione dei canali diplomatici per ottenere la pacificazione e, appunto, sollecitazione alla preghiera per la pace. In occasione di questo conflitto il pontefice non compie una esplicita legittimazione etica della guerra, ma mette in atto tutti i comportamenti che in passato l'avevano accompagnata. Di fatto è un ritorno allo schema dei predecessori. Significa la rinuncia ad approfondire uno degli elementi più innovativi del suo magistero».

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