Hanno destato molto scalpore le recenti proteste degli attivisti ambientalisti che coinvolgono opere d’arte. Lanciando pomodoro o farina gli attivisti per il clima hanno inscenato una finta azione iconoclasta, in cui l’opera non viene danneggiata, ma di cui viene sfruttato il valore simbolico e mediatico.

Con un chiaro intento provocatorio, gli attivisti inscenano un apparente attentato a un simbolo della sacralità contemporanea: l’opera d’arte. Queste proteste segnano un deciso cambio di strategia rispetto al movimento dei Fridays For Future e alle grandi manifestazioni di cui Greta Thunberg è diventata l’emblema.

Se quest’ultimo movimento cercava di catalizzare l’attenzione coinvolgendo il maggior numero di persone in manifestazioni di massa, le proteste “iconoclaste” si pongono come una nuova forma di disobbedienza civile. Una deliberata violazione di una norma, effettuata in pubblico e senza sfuggire dalle possibili conseguenze legali, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica su una grave ingiustizia.

La disobbedienza civile ha una lunga storia che affonda le sue radici nella strategia gandhiana della non violenza e che si è ampiamente sviluppata successivamente nelle proteste per i diritti civili negli Stati Uniti e in Europa. Più recentemente è stata usata da attivisti animalisti e ambientalisti.

Molti movimenti sociali novecenteschi hanno alternato fasi di manifestazioni ad ampia partecipazione popolare a fasi di attivismo più radicale.

Violare la legge

Senza prendere in considerazione movimenti espressamente più violenti di natura rivoluzionaria, la violazione della legge non è necessariamente contraria allo spirito di una democrazia liberale.

Anzi, in linea di principio, chi fa disobbedienza civile viola la legge per mandare un messaggio all’opinione pubblica, avendo fiducia che il sistema istituzionale e sociale sia sostanzialmente accettabile, sebbene sia macchiato da una grave ingiustizia.

La disparità di trattamento degli afroamericani, così come lo sfruttamento degli animali o il disinteresse per il cambiamento climatico, sono, secondo chi fa disobbedienza civile e non la rivoluzione, cause sociali enormi ma risolvibili dal sistema democratico.

Quindi la disobbedienza civile ha un intento comunicativo: cerca di provocare il pubblico per attirare l’attenzione su un tema che non viene risolto nelle maniere standard (dibattito pubblico e iniziative dei politici). In tal senso, chi fa disobbedienza civile differisce da coloro che fanno sabotaggio (per esempio, di impianti inquinanti come gli oleodotti) o azioni dirette (come la liberazione degli animali dagli allevamenti).

Quest’ultimi impongono una soluzione diretta a un problema (ambientale o animale), mentre chi fa disobbedienza civile cerca, in maniera estrema ed eterodossa di raddrizzare il dibattito democratico.

La natura comunicativa della disobbedienza civile ha ovviamente dei limiti. Ha senso solo se riesce ad essere comunicativamente efficace.

Ma rischia di essere travolta dal suo successo in maniera perversa. Se replicata, per continuare ad essere un messaggio forte, deve rinnovarsi o aumentare i toni. Ma in tal modo può perdere la sua natura comunicativa ed essere percepita come un’azione fine a se stessa.

Le due strade 

Di fronte al rischio di essere fagocitata da una logica puramente spettacolare, la disobbedienza civile ambientalista che vuole essere socialmente rilevante, e non puramente una forma di testimonianza, ha due strade di fronte.

Da un lato potrebbe cercare una rappresentanza più strutturata in partiti o movimenti più ampi e istituzionalizzata. Cosa che molti ecologisti hanno cercato di fare.

Purtroppo, la sfida ecologista in Italia ha sempre avuto una scarsa rilevanza politica, mentre altrove, pur con alterne fortune, partiti più visibili ne hanno raccolto l’eredità, almeno in parte.

Dall’altra potrebbe mantenere una sua autonomia focalizzando la protesta contro delle fonti reali e dirette di inquinamento.

Se il messaggio non riesce a passare con lo choc inizialmente efficace, ma sostanzialmente fuorviante, dell’iconoclastia, deve cercare di dirigersi verso le fonti del problema, mostrando come la questione riguarda tutti, anche i cittadini comuni che sono alieni dal valore simbolico del coinvolgere opere d’arte.

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