Le ultime misure in tema di fisco annunciate dal governo Meloni sono valutate da molti come ricompense destinate alla base elettorale del centrodestra.

La cosiddetta “flat tax” sugli autonomi, l’innalzamento del limite al contante, i disincentivi all’uso dei mezzi di pagamento elettronici, nascondono in realtà alcuni problemi strutturali dell’economia italiana, che un’opposizione degna di tale nome dovrebbe mettere al centro della propria battaglia politica.

L’ultimo tentativo di mettere ordine nel sistema tributario italiano risale al 1971.

L’obiettivo era quello di armonizzare il sistema contributivo per attuare l’articolo 53 della Costituzione, secondo cui il fisco deve basarsi sul criterio di progressività.

Da allora il sistema tributario è stato modificato a più riprese per venire incontro alle specifiche esigenze di diversi gruppi di interesse.

È insomma mancata, soprattutto durante gli anni del berlusconismo, di cui il governo attuale è la tragicomica estensione, una visione d’insieme del sistema tributario.

La conseguenza è l’attuale incomprensibile, barocco e iniquo sistema fiscale italiano.

A questo disordine dal lato delle entrate corrisponde un’eguale incoerenza dal lato delle uscite.

Il welfare italiano non garantisce le stesse opportunità e le stesse prestazioni a tutti, essendo basato su bonus e misure una tantum.

I sistemi pensionistico e previdenziale trattano in maniera diversa dipendenti ed autonomi, lavoratori del settore privato e quelli del settore pubblico, cittadini del nord e del sud.

Tutto questo è un freno alla crescita del nostro paese. Da un lato perché premiando, come fa Meloni, chi resta sotto una certa soglia di fatturato e chi ricorre a lavoro precario si disincentivano gli investimenti privati.

Dall’altro perché una sanità, una scuola, una giustizia che funzionano sono condizioni imprescindibili per la crescita economica, come dimostra la storia del secondo dopoguerra.

E i servizi pubblici funzionano bene solo se sono ben finanziati, cioè se sono sostenuti da un sistema fiscale in cui l’evasione è bassa e le aliquote rispondono realmente al criterio per cui chi ha di più deve dare – più che proporzionalmente – di più.

Se davvero a sinistra si crede che una parte di autonomi e partite Iva sia penalizzata dall’attuale sistema di welfare e fiscale, si deve rispondere proponendo misure per migliorare il loro welfare e semplificare gli adempimenti fiscali, non incentivando pagamenti in nero ed evasione “di sopravvivenza” o sostenendo l’autonomia differenziata, che distrugge la solidarietà tra i cittadini e porta al “si salvi chi può”.

La sinistra dovrebbe insomma approfittare del suo ritrovato ruolo di opposizione per smettere di far sue le parole d’ordine della destra italiana e farsi portavoce della sacrosanta battaglia per un fisco giusto.

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