Davvero la fase costituente avviata dal Pd minaccia il pluralismo culturale che era alle origini del partito nel 2007?  Questo è l’allarme lanciato da Pierluigi Castagnetti a un’iniziativa dei cattolici democratici che ha avuto al centro le preoccupazioni per il lavoro del comitato costituente creato dal Pd.

Questo organismo è stato voluto da Enrico Letta per segnare una «discontinuità» necessaria a fronte del declino drammatico del partito. Il suo compito è di redigere un nuovo Manifesto dei valori e dei principi, modificando quello del 2007.

Si possono nutrire dubbi su questa iniziativa e sulle procedure alle quali è sottoposta, ma è singolare che essa venga vista come una minaccia al cattolicesimo democratico e a quell’equilibrio tra le diverse tradizioni politico-culturali alla base della fondazione del partito.

Il vero problema da affrontare non è se il Pd debba definirsi più socialista o democratico e non sarà questo l’esito del nuovo Manifesto.

Si tratta invece di interrogarsi su che cosa non ha funzionato. Per quali motivi il partito ha perso metà dei suoi voti (da 12 a meno di sei milioni) e ha visto il grande esodo dell’elettorato popolare verso formazioni  populiste e di protesta, e verso l’astensione?

A questi interrogativi dovrebbero cercare di rispondere le diverse tradizioni politico-culturali presenti nel Pd.

E dovrebbero farlo in modo non ideologico, con spirito laico e con uno sguardo non rinchiuso all’esperienza italiana ma aperto al confronto con altri partiti di sinistra europei.

Specie quelli che sono stati più capaci di contrastare il declino combattendo efficacemente le disuguaglianze, mantenendo il radicamento nell’elettorato popolare e aprendosi alle componenti dei ceti medi più produttive e più sensibili a una redistribuzione sostenibile e all’innovazione.

In questa prospettiva sorprende invece la strenua difesa da parte di esponenti del cattolicesimo democratico di quel modello di democrazia maggioritaria che è al centro del Manifesto del 2007 e ha mostrato evidenti effetti perversi.

Un modello che si basa sul sistema elettorale maggioritario, la verticalizzazione del potere politico, a livello centrale e locale, la personalizzazione della leadership politica.

E che si caratterizza per partiti molto deboli basati sulle primarie aperte e finanziamenti privati (un’esperienza estranea ai partiti di sinistra europei).

Si tratta di una declinazione plebiscitaria della democrazia rappresentativa lontana da quella più "negoziale” e “partecipativa” che si ritrova nei paesi nei quali i partiti di sinistra sono riusciti a dare più voce e rappresentanza ai gruppi più disagiati e a contrastare le disuguaglianze.

Su questi assetti istituzionali sarebbe utile un contributo alla revisione critica da parte del cattolicesimo democratico.

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