Elly Schlein (Pd), Giorgia Meloni (FdI), Fabiana Dadone (M5S), Maria Stella Gelmini (Azione), Beatrice Lorenzin (Pd), Barbara Floridia (M5S), Chiara Colosimo (FdI), Maria Elena Boschi (Italia Viva), Alessandra Mussolini (Lega), Chiara Appendino (M5S), Marianna Madia (Pd), Daniela Santanchè (FdI), Lara Comi (Forza Italia), Giulia Sarti (M5S), Lia Quartapelle (Pd), Alessandra Moretti (Pd), Valeria Campagna (Pd), Alessia Morani (Pd).

Non sono le relatrici a un convegno bipartisan. Sono le donne politiche le cui immagini sono state rubate e commentate con parole irripetibili su un forum dal nome indicativo (phica.eu). Le prede inermi e inconsapevoli di 700 mila iscritti (una città medio-grande, non più il paese di cui parlavo qui giorni fa). Sono insieme a molte altre, e la cosa non è più grave perché riguarda loro. Classificate per mestiere, provenienza geografica, ruolo. Una mania classificatoria da collezionisti, da macellai, da anatomo-patologi che scambiano corpi vivi e persone per corpi morti. Molti commenti social degli haters al mio articolo precedente rifiutano il paragone che facevo lì, con il caso di Gisèle Pelicot (ripreso poi qui da Micol Maccario a commento del libro di Manon Garcia, Vivere con gli uomini. Che cosa ci insegna il caso Pelicot, Einaudi, 2025). Dicevano che non c’entra niente. C’entra, credetemi. È lo stesso atteggiamento necrofilo, la stessa cultura dello stupro.

Il forum è stato chiuso con un comunicato grottesco, involontariamente comico, ai limiti della fantascienza. Dicono i gestori del sito (senza metterci la faccia, firmandosi “lo staff”) che il forum è nato «come piattaforma di discussione e di condivisione personale, con uno spazio dedicato a chi desiderava certificarsi e condividere i propri contenuti in un ambiente sicuro». Sicuro per chi? Non certo per quelle le cui immagini sono state rubate. È evidente che lo staff di Phica pensa che gli unici a contare siano gli uomini. Purtroppo, continuano i gestori, nel forum si sono verificati «comportamenti tossici che hanno spinto Phica a diventare, agli occhi di molti, un posto dal quale distanziarsi piuttosto che sentirsi orgogliosi di far parte». Avete letto bene. Orgogliosi di farne parte. Far parte di un luogo con quel nome e quegli scopi.

Giséle Pelicot ha mostrato che le vittime non hanno nulla da vergognarsi. Ma qui le vittime sono anche quelle che possono cambiare le cose. E non è solo questione di leggi o di reati. Il linguaggio di quel comunicato non è un reato. Fissarsi sul problema della privacy e della mancanza di consenso riduce tutto a problema penale o a malcostume privato. Ma si tratta di una questione pubblica: la questione della disinvoltura con cui certi individui pensano di poter disporre del corpo e delle persone di certi altri individui, di sesso femminile. Una questione di dominazione, discriminazione e disuguaglianza.

Nel suo discorso “casa e famiglia” al meeting di CL di Rimini, Giorgia Meloni ha elogiato la famiglia tradizionale e attaccato qualsiasi deviazione da essa. Il discorso a Rimini è del 27 agosto, quando uscivano le prime notizie su quest’affare. La premier non ha ancora ritenuto di commentare. Quanti degli uomini autori di quei commenti sono buoni e rispettati padri di famiglia, com’erano i sodali di Dominique Pélicot? Va dato atto a Ignazio La Russa di aver espresso la sua solidarietà alle donne coinvolte, in un post, e di aver menzionato con chiarezza la nozione di “sessismo” (non “patriarcato”, forse per non urtare le sensibilità dei suoi compagni di partito). E ci sono state, e ci saranno, reazioni di altre ed altri esponenti della politica.

Ma non basta, come non bastano le denunce e le petizioni. Serve ciò che la politica può fare, cioè rendere certe cose inammissibili, impronunciabili, escluse completamente dal novero delle possibilità. Questo tipo di reazione e questo tipo di condanna non ci sono ancora state, né da parte delle donne coinvolte, né da parte di altre donne, né, soprattutto, da parte di uomini.

Non c’è stata la dichiarazione inequivocabile e bipartisan che certe cose non sono più ammissibili, che se metà del paese non può andare in giro liberamente, vestendosi liberamente, senza venire trasferita in una macelleria, allora viviamo in un regime di guerra e di aggressione continua. Immaginatevi l’opposto. Immaginatevi che dei politici uomini trovino le loro foto sezionate e commentate in un sito. Sarebbe solo questione di solidarietà? Di condanna bonaria? Di denunce e polizia postale? O sarebbe un attacco allo Stato, una cosa che coinvolge i vertici delle forze dell’ordine e i servizi? È questa l’occasione da cogliere, è questo il salto di qualità da fare.

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