Il 19 ottobre scorso il premier polacco ha tenuto al parlamento europeo un discorso che ha suscitato lo sdegno della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. «L'Unione europea è una grande conquista dei paesi europei – ha detto Mateusz Morawiecki – ed è una forte alleanza economica, politica e sociale ed è organizzazione più forte meglio sviluppata della storia. Però l’Unione europea non è uno stato, lo sono invece gli stati membri della Ue. Gli stati sono quelli che rimangono sovrani al di sopra dei trattati».

Il 7 ottobre era stata presentata la sentenza del tribunale costituzionale polacco che contestava il primato del diritto dell’Unione su quello degli stati membri, e stabiliva in particolare l’incompatibilità con la carta costituzionale polacca di alcune disposizioni Ue in materia di diritti umani e rispetto delle minoranze (in particolare le minoranze Lgtb). Ma la tensione fra l’Ue e il governo polacco guidato dal partito conservatore di destra Diritto e Giustizia (PiS) riguarda, oltre ai diritti delle minoranze, la libertà di informazione e la riforma del sistema giudiziario polacco, nel senso di una decisa riduzione dell’autonomia della magistratura.

Cos’è l’Unione europea

La risposta dell’Unione europea è stata immediata – lo stesso 7 ottobre la Commissione ha ribadito, in un documento facilmente reperibile in quel magnifico repertorio del diritto europeo che è il sito eur-lex.europa.eu che «il diritto dell'Ue prevale sul diritto nazionale, anche sulle disposizioni costituzionali; tutte le sentenze della Corte di giustizia sono vincolanti per tutte le autorità degli stati membri, compresi gli organi giurisdizionali nazionali».

La risposta del premier polacco avrebbe dovuto suscitare un dibattito vero e profondo proprio sul principio che il leader sovranista enuncia con decisione: «l’Ue non è uno stato, lo sono invece gli stati membri della Ue». Avrebbe dovuto e dovrebbe, perché è qui il cuore della questione, ancora più che sui singoli diritti delle minoranze (si è visto anche in Italia che fine ha fatto la legge Zan) e sulle insopprimibili pulsioni degli esecutivi nazionali a limitare l’autonomia dell’ordine giudiziario (anche qui ne sappiamo qualcosa anche in Italia).

E cioè: che tipo di entità politica è l’Unione europea? Che cosa vogliamo che diventi? Dipende da noi, che siamo cittadini europei, eleggiamo un parlamento, il quale esprime un esecutivo (la Commissione), possiamo appellarci a una Corte di giustizia anche contro sentenze degli organi giudiziari nazionali, e assistiamo troppo spesso all’impotenza dell’altro organo che, congiuntamente al parlamento, «esercita la funzione legislativa e la funzione di bilancio» (Trattato di Lisbona, Titolo III, Art. 9 B): il Consiglio (dei capi di stato e di governo).

La radice dei fallimenti

Anche di questo sappiamo qualcosa: pensate al Trattato di Dublino, che affibbia la gestione dei migranti ai paesi di prima accoglienza invece di regolarne con equità e lungimiranza l’esame e la distribuzione fra i diversi paesi dell’Unione. Sono anni che il parlamento preme verso una soluzione equa e razionale, e il Consiglio va in blocco.

Idem per la costruzione di una vera presenza internazionale europea, nello scenario mondiale attuale, presenza già idealmente delineata nel Trattato di Lisbona in termini che riecheggiano alla lettera le pagine di Kant Sulla pace perpetua. Pensate anche all’istituzione di una difesa comune, che risponda a questi princìpi invece che alle logiche della selva geopolitica: anche questa è soggetta alla regola bloccante dell’unanimità in consiglio (basta il veto di uno e la decisione non si prende).

Questa impotenza è radicata nell’inevitabile prevalere (a meno di modifiche della regola di unanimità) delle sovranità nazionali sugli interessi dell’Unione. Altiero Spinelli la denunciò instancabilmente come radice dei fallimenti di tutte le grandi entità politiche sovranazionali, dalla Grecia antica in poi. Fino a quella Federazione degli Stati Uniti d’Europa tratteggiata dal progetto di trattato che istituisce l’Unione europea, altrimenti detto progetto Spinelli, approvata a larga maggioranza dal parlamento europeo nel 1984, che fece da modello alla realizzazione effettiva dell’assetto istituzionale dell’attuale Unione, quando la situazione internazionale lo rese possibile.

Ideali

Gianfranco Pasquino ha scritto il 2 novembre su Domani che senza ideologie trionfano i populismi, e che la forza dell’Unione europea sta nel suo farsi portatrice di “un’ideologia democratica”. Come vorrei che si aprisse un dibattito che vada oltre questa parola ambigua, “ideologia”, e affronti il problema cruciale: vogliamo una democrazia sovranazionale, dunque a tutti gli effetti gli Stati Uniti d’Europa, o crediamo con il sovranista polacco che i concetti di sovranità democratica e di nazione siano indissociabili?

Quest’ultima è un’opinione che ha lungamente prevalso anche nella sinistra. Pasquino cita giustamente la celebre tesi di Spinelli che i partiti europei non si sarebbero più distinti in destra e sinistra, ma fra quelli favorevoli e quelli contrari all’unificazione politica dell’Europa. Ma non certo perché non sia chiaro il carattere progressista, di “sinistra”, del progetto federalista. Per un’altra ragione: che è un progetto che pone vincoli normativi all’arbitrio dei sovrani, fondati in valori universalmente accessibili alla ragione, alla sensibilità e alla buona volontà di ognuno, e non portati (ben lo si vede) dalle “forze” della storia. Fatto di ideali per cui battersi: non di “ideologie”.   

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