Il Garante per la protezione dei dati personali ha dato il via libera alle “Linee guida operative per la fruizione dei servizi Spid da parte dei minori”, proposte da AgId (Agenzia per l’Italia Digitale).

Le linee guida dovrebbero consentire agli ultraquattordicenni di dotarsi di un’identità digitale per accedere ai servizi offerti dalla Pubblica amministrazione e, ai più piccoli, di poter usufruire dei servizi online forniti dalle scuole.

Nel frattempo, il Regno Unito si accinge a varare una legge che impone ai siti pornografici di installare un dispositivo di verifica dell’età, prevedendo sanzioni, in caso di inottemperanza, che possono arrivare fino al 10 per cento del fatturato.

Quello del riconoscimento dell’età è un problema che è sempre esistito in internet. Il controllo dell’età non è applicato dall’80 per cento dei siti porno, che sono frequentati abitualmente da poco meno della metà dei ragazzi italiani di età compresa tra i 14 e i 17 anni.

In alcuni casi, l’accesso dei minori a servizi riservati agli adulti è limitato dall’uso di strumenti di pagamento e dalla necessità di disporre di una carta di credito: si pensi, ad esempio, ai servizi online di scommesse o all’acquisto di alcolici. La pornografia, invece, è caratterizzata da un’ampia offerta gratuita, con l’unica (fragile) barriera costituita da un banner cliccando sul quale gli adolescenti dichiarano di essere maggiorenni.

Il caso francese

La Francia, con una legislazione pioneristica, introdusse anni fa l'articolo 227-24 del codice penale, che prevede sanzioni pecuniari gravose per coloro che, con qualsiasi mezzo (e, quindi, non solo tramite internet), diffondono messaggi di natura violenta o incitanti al terrorismo, immagini pornografiche o che invogliano i minori a pratiche che potrebbero esporli a pericoli fisici.

In tanti ricordano il triste caso del blue whale, il macabro “gioco” con cui alcuni adolescenti invitavano loro coetanei a seguire un assurdo decalogo, che prevedeva, tra le altre pratiche, procurarsi lesioni o saltare da edifici.

Il terreno della libertà di parola e, in generale, della libertà di manifestazione del pensiero è molto scivoloso e, probabilmente, limitarsi a imporre multe – peraltro raramente applicate – non è la strada migliore per selezionare l’accesso ai contenuti.

Strade alternative

Quali potrebbero essere, allora, le strade alternative? Estendere lo Spid dei minori anche al di là della Pubblica amministrazione, così come proposto dalla ministra Pisano, introducendo un obbligo specifico anche per i social network e per i siti riservati agli adulti?

La questione si era posta qualche mese fa, quando il Garante per la privacy era intervenuto contro Tik Tok, per bloccare l'accesso agli utenti minori di 13 anni. I gestori della piattaforma si erano impegnati a ricorrere a strumenti di intelligenza artificiale, in grado di individuare, con un margine di errore inferiore al 5 per cento, l’età dei TikToker.

Qual è la soluzione migliore? Riconoscimento facciale o Spid? Il quesito non è semplice, anche perché entrambe le opzioni prestano il fianco a possibili critiche.

Lo Spid è applicabile solo in Italia, quindi potrebbe essere facilmente aggirabile: molti adolescenti, anche non necessariamente esperti di tecnologia, sanno modificare le impostazioni in modo da apparire come residenti fuori dal territorio nazionale. Social network, siti pornografici e così via discorrendo non sarebbero in grado di individuare la provenienza geografica dell’utente e, di conseguenza, non richiederebbero l’uso di Spid per l’accesso.

I sistemi di intelligenza artificiale evocano invece scenari distopici e sinistri. Quanti sarebbero disposti a “prestare” il proprio volto per essere riconosciuti da un sito internet e avervi accesso? Quanti sarebbero frenati dal timore di essere “schedati” e tracciati?

A ben vedere, si tratta di paure solo parzialmente fondate. Innanzi tutto, l’idea di poter navigare in assoluto anonimato è una chimera alla quale è difficile credere. In secondo luogo, sul mercato sono già disponibili software che consentono il riconoscimento facciale senza conservazione dei dati e senza possibilità, per il gestore del software, di ricostruire successivamente il volto dell’utente.

È una via percorribile in grado di contemperare le legittime aspettative di privacy degli utenti, con una selezione reale degli accessi, oppure preferiamo nascondere la polvere sotto il tappeto, evocando spettri distopici?

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