La sfida che il Pnrr e i suoi target pongono davanti alle amministrazioni pubbliche italiane è cosa ben nota.

Altrettanto noto è che l’anamnesi non ci fa stare sereni: un’indagine della Banca d’Italia mette in evidenza che la durata mediana della realizzazione di un’opera pubblica è pari a quasi undici anni se il valore supera i 5 milioni.

Questione di professionalità

L’indagine mette in evidenza due punti chiave: il tempo speso nelle fasi definite dalla ricerca «di attraversamento», ossia quelle che corrispondono ai passaggi burocratici ammonta al 40 per cento del tempo, con un’incidenza particolarmente elevata per i tempi dedicati alle fasi di progettazione. Si constata poi che durate più brevi si osservano nelle amministrazioni il cui personale ha più alti livelli di professionalità.  

Anche la lettura attenta della Nadef 2022  non mitiga la preoccupazione. La nota di aggiornamento certifica che nel 2022 investiremo 14,4 miliardi del Pnrr in meno di quanto previsto dal Documento di economia e finanza di aprile (15 miliardi contro 29,4). Anche per il 2023 è previsto un piccolo scostamento negativo seppure con un ammontare veramente imponente di risorse da investire (40,9 miliardi nella Nadef contro i 43,3 miliardi di aprile).

Dall’esame di questi due documenti appare evidente che il fattore determinante per vincere la partita è riuscire a rafforzare la capacità progettuale delle amministrazioni lavorando su due fronti: da una parte riprendendo con coraggio l’attività di semplificazione sulla base dell’Agenda della semplificazione approvata a maggio scorso, dall’altra accrescendo la competenza delle organizzazioni e delle persone che in esse lavorano.

Per quest’ultimo fondamentale obiettivo, data la pervasività delle attività di investimento che coinvolgeranno migliaia di comuni, è necessario puntare su due leve: su un’altrettanto pervasiva formazione che metta tutti i funzionari direttivi e i dirigenti in grado di padroneggiare almeno le più elementari tecniche di project management, ma anche sull’assunzione di figure professionali adeguate.

Nelle amministrazioni servono program manager per valutare gli aspetti strategici, gli impatti di lungo periodo, il coordinamento generale di tutti i progetti di un’amministrazione in vista di un incremento del «valore pubblico», ossia in senso lato del benessere dei cittadini.

Servono anche project manager per l’effettiva realizzazione dei singoli progetti, per il rispetto delle tempistiche e dei budget, per l’attività di gestione delle risorse e di rendicontazione. 

Servono dei funzionari amministrativi per le attività di gestione, monitoraggio, rendicontazione e controllo dell’attuazione dei singoli progetti; figure che conoscano la normativa europea e italiana sugli appalti, tema quanto mai complesso sulla base di un codice in continua modificazione. Servono infine competenze tecniche verticali: dai data scientist agli esperti ambientali, ecc.

La carenza di queste competenze è però cronica nelle amministrazioni dopo i tagli e il blocco del turnover degli anni scorsi e sarebbe estremamente rischioso prevedere solo misure emergenziali e di breve periodo.

Esperti a tempo determinato

Se si esaminano le centinaia di concorsi aperti o in fase di svolgimento vediamo che una larga parte riguardano assunzioni a tempo determinato, in generale per un impiego della durata di tre anni e comunque non oltre il 2026, anno di fine delle attività previste dal Pnrr. Inoltre, molti avvisi riguardano il conferimento di incarichi professionali a esperti iscritti agli albi, selezionati perché immediatamente utilizzabili.

Questa scelta, in parte necessitata proprio dalle scadenze del Piano e dalla necessità di supplire a carenze storiche di competenze, comporta almeno due gravi problemi: dapprima la scelta di inserire professionisti non organici alle amministrazioni non come eccezione, ma come prassi consolidata per coprire buchi in organico, non ha risolto la carenza di funzionari e dirigenti “interni” in grado di assumersi la responsabilità della firma dei provvedimenti  ed è una scelta che, ovviamente, non è in grado di correggere né il trend di “desertificazione” della pubblica amministrazione più volte denunciato e che ha portato al minimo storico di dipendenti pubblici, né tantomeno il progressivo invecchiamento del pubblico impiego.

Il fallimento del concorso per il Sud

Il secondo problema è dato dalla scarsa attrattività di posti a tempo determinato con una retribuzione che, se sarebbe forse accettabile come primo impiego e quindi come punto di partenza, è giudicata del tutto insufficiente per un incarico a termine.

L’esempio più illuminante è stato quello del famoso concorso per assumere 2.800 esperti per lo sviluppo del Mezzogiorno da indirizzare presso comuni, province ed enti locali meridionali.

Per alcune figure professionali più ricercate dal mercato non si è riusciti in due anni a trovare candidati idonei e così non si è proceduto all’assunzione per più della metà dei posti previsti.

Prendendo atto di questo fallimento, quest’anno il decreto legge 36/22 ha rivoltato il tavolo e ha permesso alle amministrazioni meridionali di ricorrere invece che ad assunzioni al conferimento di incarichi professionali ad esperti esterni.

È stata forse una scelta ineludibile, ma non è così che si rigenererà un’amministrazione pubblica, ma con un’azione strategica che punti a rafforzarla in pianta stabile, dotandola strutturalmente delle competenze necessarie per confrontarsi con una società in rapida evoluzione e per avere un corretto e paritario rapporto con le aziende private esecutrici di gran parte degli investimenti.

Solo una pubblica amministrazione competente potrà infatti esercitare il suo ruolo con quella autonoma responsabilità di cui abbiamo bisogno.

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