C’è stata una grande differenza in Parlamento nel discorso del premier Mario Draghi al momento della richiesta di fiducia, rispetto ai precedenti discorsi di Giuseppe Conte: il nome del Recovery Fund è stato finalmente sostituito con quello di Next Generation Eu. Si è riportato così alla luce il nesso profondo e il significato essenziale dell’enorme piano di investimenti messo in atto dall’Unione europea con l’approvazione del Quadro finanziario pluriennale 2021-2027.

Non si tratta solo di un piano per risollevare l’Europa dopo la crisi causata dal Covid-19, ma anche di un’opportunità mai vista per investire sulle e per le nuove generazioni, affrontando le sfide strutturali del nostro paese per ricostruire fondamenta solide e generare un nuovo patto tra generazioni.

Durante il governo Conte 2, questo significato è stato dimenticato, tanto che soltanto l’1 per cento delle risorse era destinato alle politiche giovanili nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, il così detto Pnnr. Un trend che segue la tendenza precedente alla pandemia, dove i dati Ocse confermano che l’Italia è il paese che spende meno e peggio proprio per le politiche attive nei confronti delle nuove generazioni. Una battaglia, quella per ottenere più fondi, che è stata portata avanti dai ragazzi di Uno non basta.

La riforma della pubblica amministrazione

Un altro fattore di centrale importanza, da cui dipende un utilizzo e una gestione efficiente dei fondi resi disponibili dal Next generation Eu, sta nell’efficace operatività della pubblica amministrazione. Nel rapporto Going for growth 2021, l’Ocse rimarca che «in Italia, per un efficace utilizzo dei fondi messi a disposizione dall’Europa, si deve puntare soprattutto a migliorare la gestione degli investimenti pubblici e rendere, al contempo, più efficaci l’assegnazione e il coordinamento dei compiti di attuazione delle varie politiche tra i diversi livelli di governo».

Su questa scia si era mosso due settimane prima il ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta. Il primo aprile 2021 ha inserito all’interno del decreto Covid-19 una riforma dei concorsi per la pubblica amministrazione.

Ma ancora una volta, sebbene si riconosca l’urgente necessità di velocizzare, digitalizzare e sbloccare eventuali concorsi fermi dalla crisi Covid-19, si lasciano indietro i giovani. L’articolo 10 del decreto adotta, al comma c, nuovi criteri di selezione, con la riduzione delle prove a un solo scritto, svolto in via telematica, e un eventuale orale. Il decreto stabilisce, in ultimo, che per l’ammissione ai concorsi basterà una valutazione dei titoli di studio legalmente riconosciuti.

Su quest’ultimo punto si è aperta la forte protesta dei giovani candidati ai concorsi pubblici, che si sono organizzati nel comitato No riforma Pa, sostenendo l’illegittimità della proposta di riforma, sulla base, in primis della violazione del principio di uguaglianza e di non discriminazione all’interno della Pubblica amministrazione, stabilito dall’articolo 51 della Costituzione.

Selezione per titoli

«Eliminando di fatto la vecchia e ordinaria prova preselettiva, che aveva il compito si scremare il numero di candidati per l’accesso alla prima e vera prova scritta, accederebbero al concorso solo coloro in possesso di determinati titoli, ossia chi è in possesso di master di secondo livello, dottorati, abilitazioni, iscrizioni ad albi e via dicendo. Ma non solo, sempre in base allo stesso articolo verrebbe valutata anche la pregressa esperienza presso una pubblica amministrazione, il tutto sulla base della discrezionalità delle singole amministrazioni che potranno o meno applicare tali regole. Appare evidente che l’articolo in questione è nettamente discriminatorio», spiega Davide Lecca, promotore della petizione che si oppone alla selezione per titoli su Change.org, che sta per raggiungere, a oggi, le 35mila firme.

Tra le realtà promotrici della petizione troviamo anche l’associazione Giovani energie meridionali: «Già nel corso dell’estate – spiega il presidente di Gem, Giancarlo Cirillo – avevamo elaborato una proposta di riforma dei concorsi alternativa, depositata presso la corte di Cassazione, che prevede un dimezzamento delle prove e quindi dei tempi, ma che permette allo stesso tempo di evitare discriminazioni nella selezione iniziale. Chiediamo che la nostra proposta venga considerata in alternativa alla riforma contenuta all’interno del decreto del primo aprile. Sul tema c’è un’ampia discussione politica che si è venuta a creare e non è escluso che nei prossimi giorni ci potrebbero essere delle forti novità e modifiche della riforma. Chiediamo di essere ascoltati».

Personale che invecchia

Escludere nuovamente i giovani dalle pubbliche amministrazioni seguirebbe un trend già avviato dal 2008, come illustra l’osservatorio Cpi: con il blocco (parziale) del turn over e la riforma Fornero si è avuto come effetto collaterale una forte accelerazione nell’invecchiamento del personale. Tra il 2008 e il 2017 l’età media dei dipendenti della Pa è aumentata passando da 46,8 a 50,6 anni.

Se poi si paragona agli altri paesi europei, l’Italia è il paese con la più alta quota di dipendenti over 55, pari al 45,4 per cento contro una media Ocse del 24,3 per cento.

Questa riforma si inserirebbe dunque nel solco di un lento processo di invecchiamento dei dipendenti pubblici, che andrebbe invece combattuto con misure maggiormente inclusive, e che permettano un ricambio generazionale all’interno dell’amministrazione pubblica, importanza sottolineata anche dal presidente del forum per la Pubblica amministrazione, Carlo Mochi Sismondi, in un suo recente editoriale.

Giovani dimenticati

Insomma, a discapito dei dati e nonostante i discorsi che rimarcano la centralità delle giovani generazioni, per ora i giovani non sembrano essere nei piani del nostro paese e, forse, considerazione ancora peggiore, non sembrano essere considerati come attori del processo di ripresa.

Ci troviamo in un punto nevralgico della storia del nostro paese, che negli ultimi anni ha dovuto affrontare importanti crisi economiche e sociali. Forse questa volta, potremmo avere realmente l’occasione di cominciare a lavorare insieme per l’Italia di domani, sfruttando la crisi per costruire quel patto generazionale che da molto tempo sembra essere distrutto.

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