Lo sciopero generale di tutti (tutti) i lavoratori pubblici e privati, proclamato da Cgil e Uil e avversato dalla Cisl, ci consegna l’immagine di un sistema sindacale debole, preoccupato più delle sue questioni interne che del destino dei lavoratori.

Esattamente come il sistema politico del quale scimmiotta tutti i vizi. È stato ripugnante il tentativo di delegittimare lo sciopero come attentato al necessario clima di concordia nazionale.

Ai profeti dell’unità nazionale basterà ricordare che la compatta maggioranza istituzionale si è spaccata sulla proposta del premier Mario Draghi, noto bolscevico, di non abbassare le tasse al 20 per cento più ricco dei contribuenti. Questa è l’armonia sociale alla quale il leader della Cgil Maurizio Landini avrebbe dovuto inginocchiarsi. Rimane però il vero problema per la sinistra a cui speriamo nessuno voglia sottrarsi in nome del motto fascista «Taci, il nemico ti ascolta».

La grande maggioranza dei lavoratori italiani, soprattutto i più deboli e i meno garantiti, a forza di sentirsi dire che scioperare non serve a niente ci hanno creduto. E la Cgil non riesce più a convincerli. L’adesione è stata alta solo in alcune fabbriche soprattutto metalmeccaniche, dove i lavoratori sono più sindacalizzati e garantiti. Cgil e Uil non danno altre cifre se non quelle generiche del trasporto pubblico. Qualcosa vorrà dire.

La Cisl fa invece trapelare che nelle maggiori industrie nazionali (Stellantis, Fincantieri, Leonardo) siamo sotto il 10 per cento e che all’Ilva di Taranto ha scioperato l’1,5 per cento, così come alle Poste, mentre alle Fs (storica roccaforte sindacale) siamo al 7 per cento. Commercio e banche non pervenuti. Se quelle della Cisl sono fake news Cgil e Uil lo dicano.

Nelle stesse fabbriche dove si è scioperato di più hanno regolarmente timbrato il cartellino i precari: hanno paura perché restano lavoratori di serie B. Non vengono nemmeno ammessi allo stesso sindacato dei colleghi garantiti, bensì relegati nel ghetto del sindacato degli “atipici”.

Come i partiti non intercettano più l’umore di chi sta peggio (e non va più a votare), i sindacati non rappresentano più l’ormai maggioritaria area della rabbia sociale che non si mobilita certo sulle virgole della legge di Bilancio. Per Landini lo sciopero rimane un successo di posizionamento politico.

È netto il segnale mandato al governo e soprattutto al Pd: la Cgil non si fa integrare nella marmellata dell’accordo generale dietro cui i partiti nascondono le loro rese dei conti e l’incapacità di fare scelte. Ma rimane la questione che la sinistra finge da anni di non vedere: i precari e gli sfruttati non hanno un sindacato di cui fidarsi e il sindacato è diventato un grande supermercato che non conosce più la sua clientela. Che questo faciliti il compito del governo è un pia illusione della Cisl e del Pd.

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