Non saremo per sempre in balia degli aumenti dei prezzi dell’energia, ma dipenderà da noi porre fine a questa incertezza.

Pochi temi sono importanti in questa fase che sta attraversando il paese come l’aumento delle bollette e quanto prima dobbiamo uscire da un dibattito in cui si alternano demagogia e fatalismo.

La situazione sta diventando sempre più difficile per imprese piccole e medie con produzioni i cui costi rischiano di andare fuori mercato, come per tante famiglie già in difficoltà di fronte alle spese per il riscaldamento delle abitazioni.

Il governo Draghi sta faticosamente cercando di mettere una pezza con sconti su Iva e oneri di sistema – ieri la maggioranza si è divisa sul contributo di solidarietà sui redditi oltre i 75mila euro – ma non sembra esserci alcuna prospettiva per affrontare il problema in modo strutturale, in un paese dipendente dall’estero per oltre il 90 per cento del gas che utilizza per produrre energia elettrica, per le lavorazioni delle imprese e per riscaldare le case.

Matteo Salvini e Roberto Cingolani puntano sul nucleare “pulito”, di fatto rinviando di alcuni decenni qualsiasi via d’uscita, mentre dall’altra Pd e Cinque stelle guardano, senza grande convinzione, alla prospettiva europea della transizione energetica.

Invece è ora il momento di prendere il toro per le corna, affrontando il problema della dipendenza dal gas e dalle fluttuazioni che si porta dietro. Come ha detto l’amministratore delegato dell’Enel, Francesco Starace, oggi le rinnovabili sono più economiche e convenienti e permettono di ripensare completamente i settori produttivi. Eppure, il nostro paese non ha ancora scelto di percorrere questa strada sul serio e di accompagnarla con le ricette oggi disponibili e affidabili che consentono di ridurre i consumi energetici.

A leggere il rapporto appena pubblicato da Enea sull’efficienza energetica si rimane sconcertati dalla rassegnazione con cui sono descritti programmi e risultati possibili con le politiche previste, del tutto inadeguati rispetto a qualsiasi scenario europeo sul clima e che ignorano le opportunità che oggi esistono di ridurre drasticamente i consumi.

Ossia quelle raccontate in uno studio recente realizzato da Elemens per Legambiente che ha approfondito i due scenari più interessanti in campo per aggredire questa situazione.

Il primo è quello di una generazione sempre più diffusa da fonti rinnovabili, che trova oggi la sua convenienza in impianti che direttamente soddisfano i fabbisogni di imprese e famiglie, attraverso comunità energetiche o in autoproduzione, abbattendo così la bolletta elettrica.

Il secondo è invece nella riduzione dei consumi di gas per il riscaldamento negli edifici oggi quantificabile grazie a sistemi di progettazione e monitoraggio delle prestazioni – considerando i salti di classe energetica – sempre più affidabili e conosciuti. Al 2030 il potenziale di sviluppo delle rinnovabili in un modello distribuito sui tetti di distretti artigianali e capannoni, uffici e scuole, case e condomini è pari a 14,5 GW, e può ridurre le bollette elettriche di circa il 25 per cento.

Più significativa è la riduzione dei consumi possibile negli edifici intervenendo sull’efficienza delle strutture e degli impianti che può variare tra il 40 e l’80 per cento dei consumi di gas.

Il salto di qualità e di scala potrà avvenire se questi due scenari, che oggi viaggiano troppo lentamente in parallelo, diventeranno una politica integrata. Perché i risultati più interessanti si raggiungono mettendo assieme per Pmi, famiglie e edifici pubblici i vantaggi della riduzione dei consumi e di autoproduzione da rinnovabili.

Si possono infatti mettere in moto investimenti capaci di ridurre di oltre un miliardo di euro le bollette per i consumatori con 180mila nuovi posti di lavoro. Cosa manca? Questi interventi rimangono ancora complicati, con procedure barocche per autorizzazioni di progetti che non rientrano nelle tradizionali categorie edilizie.

Ma l’innovazione più significativa sarebbe se la politica invece di litigare sul superbonus per l’edilizia si applicasse a capire come premiare chi più riduce i consumi di gas – perché questo è l’obiettivo strategico del paese – aiutando l’accesso al credito.

Perché oggi questi interventi si ripagano tra incentivi e riduzione dei consumi, ma trovano un muro da parte delle banche perché presentati da soggetti atipici, come le comunità energetiche, o da famiglie a basso reddito.

Inoltre, manca un forte ruolo di spinta da parte delle città, come avviene negli altri paesi europei dove sono state create strutture ad hoc e agenzie per muovere interventi sugli edifici pubblici e aiutare tutti i cittadini e le imprese ad intraprendere questa strada.

Davvero dipende solo da noi se rimanere in balia dei prezzi del gas, tra demagogia e fatalismo, o piuttosto fare del pnrr la leva di una rivoluzione fatta di cantieri diffusi in ogni parte d’Italia.

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