Tra una quindicina di giorni avremo i risultati delle elezioni per il parlamento europeo. Dopo, per l'Italia, si aprirà la questione politica fin qui tenuta in un sottofondo concorde, sia da parte dei partiti di governo, sia da parte delle opposizioni. Perché ha in sé un contenuto distruttivo e impresentabile. È la crisi del sistema politico, e le delicate iniziative per affrontarla.

Quando nuclei eversivi vogliono rovesciare un equilibrio democratico in un paese, hanno due punti di penetrazione immediata nel sistema. Il primo, indebolire l’informazione, controllarla, dirigerla, contaminarla. Ed è quanto sta avvenendo, per ora nell'informazione pubblica, ma anche in quella privata con rapporti non confessati ma operosi. È la denuncia dell'associazionismo della stampa e dell'informazione nazionale e internazionale. Il secondo, è il controllo della magistratura.

Nell'ultimo mese i magistrati hanno votato una risoluzione unitaria in cui si chiede la mobilitazione per fronteggiare la crisi di regime democratico: il tema posto non è semplicemente il rapporto fra magistratura e governo, ma è un allarme per l’ordine democratico del paese.

Attendiamo le iniziative. Ma oggi vi sono due leggi, che peraltro alcuni giuristi credono in odore di incostituzionalità, che regolano le nomine dei magistrati della giustizia amministrativa e di quella contabile da parte del governo.

Si punta alla ricomposizione degli squilibri sociali ed economici attraverso leggi ordinarie. Del resto, l’attuale fascismo del fare utilizza la combinazione fra leggi elettorali maggioritarie e leggi ordinarie, come fece il ministro Rocco che con una legge ordinaria seppe trasformare lo stato liberale in uno stato corporativo.

Maggioranza per artificio

L'opposizione presenti subito una legge, stabilisca una volta per sempre che i magistrati, sia quelli ordinari, sia quelli amministrativi, contabili o militari, siano scelti attraverso concorsi garantiti da commissioni giudicanti non governative. Deve essere posto un problema, subito: togliere i magistrati dai gabinetti, dalle segreterie del governo centrale e dei governi regionali. Perché è una forma di cooptazione nel potere governativo che li indebolisce.

Per l’autonomia della magistratura, non si tratta oggi di rispolverare questioni pure importanti come l'obbligatorietà dell'azione penale o della separazione delle carriere, ma di imporre che il potere governativo sia escluso da ogni possibilità di nomina dei magistrati.

Qui arriviamo al punto della trasformazione del regime. Che, comprensibilmente, le forze di governo hanno interesse a tenere sottotono in campagna elettorale; non l'opposizione, che avrebbe dovuto anticipare i rischi presenti, già maturi. In queste settimane si stanno mobilitando forze dell'accademia, dell’alto clero, delle imprese; si chiedono se siamo in presenza di un tentativo eversivo da parte di una minoranza nel paese che è maggioranza in parlamento per artificio di legge elettorale. Questa maggioranza per artificio intende utilizzare gli strumenti ordinari dello stato democratico parlamentare per annullare lo stesso sistema democratico e della rappresentanza.

Tutte le democrazie, quando trovano difficoltà a procedere, cercano soluzioni per risolvere democraticamente i problemi. Il premier britannico, pur avendo una maggioranza conservatrice, ma trovandosi in difficoltà, ha promosso lo scioglimento delle camere e le elezioni anticipate.

Prima è successo in Spagna. Qui, in Italia, subito dopo il voto, bisognerà chiedersi se il parlamento, che cova dentro di sé forze eversive, distruttrici del sistema, è compatibile con un procedere ordinato di un recupero della forza democratica. O piuttosto non vada sciolto.

L’impegno sovranazionale

È questo il dibattito da affrontare il 2 Giugno, il giorno della Festa della Repubblica. Se il risultato delle europee certificherà che la maggioranza del parlamento, quella che vuole stravolgere il sistema democratico con la tesi eversiva di un cambio di regime, non è maggioranza nel paese, e cioè non è maggioranza assoluta, degli aventi diritto al voto – come nel referendum che nel ‘46 decise fra Repubblica e monarchia – si pone il tema dello scioglimento delle camere: ai partiti, e a chi ha la responsabilità della garanzia dell’equilibro democratico del paese.

In un parlamento si possono occupare i banchi del governo, si può sventolare la Costituzione, ma sono gesti simbolici, senza effetti. Bisogna invece porre con decisione il problema di tornare a un giudizio popolare: perché la pietra costituzionale e la pietra di inciampo della memoria debbono essere i riferimenti di noi tutti. E soprattutto chi è il garante della Costituzione.

Questo mio discorso segue il monito che il 25 Aprile ha lanciato il presidente della Repubblica: la nostra democrazia, ha detto, è costata non solo a noi, il sangue, le lotte, il coraggio di un intero popolo; ma anche ai 350mila morti giovani di altri paesi che sono nei nostri cimiteri, che hanno speso la vita per noi. Abbiamo un impegno sovranazionale di solidarietà con chi ci ha aiutato. Un impegno nella difesa delle nostre istituzioni democratiche. Che essi hanno compiuto. Che oggi noi non possiamo tradire.

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