Andare soli, con stivali e umili abiti a visitare le case allagate e i campi alluvionati della Romagna è propagandisticamente molto più efficace che andarci con uno stuolo di assistenti per vedere dall’alto le aree colpite e poi rifugiarsi nei palazzi delle questure. Giorgia Meloni ha battuto i suoi ministri in leadership. E non è la prima volta.

Ma a chi voglia andare oltre la sentimentale interpretazione delle strategie comunicative, queste seppur efficaci scelte di stare “vicino alla gente” che soffre e lotta non convincono. Quel che conta e deve essere attentamente monitorato e valutato è che cosa concretamente farà il governo. Ricordando che, in questo caso, la politica del governo non è né deve essere “del” governo, ma è di e per tutti/e coloro che abitano l’Italia. La questione ambientale non è di qualcuno.

Un paradigma sbagliato

Meloni ha giustificato il ritardo di una settimana a riunire il Consiglio dei ministri con l’argomento che essendo l’alluvione ancora in corso non si potevano quantificare danni e bisogni. Meglio aspettare il decorso degli eventi. Una giustificazione che non convince affatto perché, proprio mentre la tragedia era in corso, sarebbe stato importante, non solo simbolicamente, avere un governo riunito in permanenza; non con ministri che si comportano come se tutto fosse normale, guardando le partite di calcio e presentando i propri libri.

Tutto normale per il governo, salvo voi calzare gli stivali per non infangarsi e parlare di emergenza. Le proposte del governo non ci sono ancora, ma si intuisce dalle dichiarazioni fin qui fatte che tratterà questo di Romagna come un fenomeno eccezionale che deve essere affrontato come un’emergenza. Un nuovo errore clamoroso. Perché se gli argini non hanno tenuto e le colline (semi-abitate e non proprio cementificate) franano è perchè la condizione climatica è cambiata e quel che è successo in questo mese di maggio può succedere ancora e presto, in Romagna o altrove.

Del resto, negli ultimi dodici anni si è contato un numero elevatissimo di alluvioni ed “eventi eccezionali”. Con il paradigma dell’eccezione non si interpreta correttamente il problema e non si predispongono misure adatte a porvi rimedio. È tuttavia questo il paradigma al quale il governo sembra volersi affidare come si evince dalla risposta negativa alla proposta del Pd.

Salvare le città

Elly Schlein, a nome del suo partito, ha proposto che la finanziaria straordinaria che deve gestire il Pnrr venga centrata su questo tema strategico. Ovvero, considerare quella di Romagna non come un “evento eccezionale” ma come uno dei sempre più frequenti segnali che la natura ci manda dei suoi mutamenti strutturali.

Servono interventi preventivi e protettivi altrettanto strutturali, che cambino la fisionomia delle terre più esposte, che oggi sono quelle di Romagna ma domani possono essere altre. Monitorare l’intero paese e fare della sua vulnerabilita idrogeologica una grande opportunià di riordino del territorio. Non è la prima volta nella storia del nostro paese.

Due secoli fa, la Romagna che è oggi sott’acqua fu tolta alle acque del delta del Po e resa terra fertile; fu un lavoro immane. Nel Settecento, il futuro Papa Benedetto XIV, il cardinale Lambertini di Bologna, lanciò e sostenne la nascita dell’Accademia delle Scienze di Bologna, un crogiuolo di scienze applicate che fecero grande l’intera regione, alle prese con alluvioni e povertà cronica: dall’ingegneria idraulica alla medicina ostetricia, dalla meccanica alla diagnostica.

Ma la cura di quel territorio, potenzialmente ricco ma vulnerabile, era cominciata diversi secoli prima. Come ha raccontato il grande storico Carlo Poni, a partire dalla seconda meta del XII secolo, «il Comune di Bologna e un gruppo di imprenditori privati avviò una politica di grandi investimenti infrastrutturali che delinearono i caratteri del successivo sviluppo della città e che erano guidati da un comune obiettivo: dotare la città di un potente sistema idraulico».

Per una politica ecologica

Oggi ci troviamo per necessità a dover pensare in termini di “grandi investimenti strutturali” e a questo scopo il Pnrr può e dovrebbe essere impiegato. Solo se si pensa in chiave emergenziale, come fa questo governo, si può dire che il Pnrr non può essere usato. Si tratta evidentemente di una lettura miope e in questo caso dannosa.

Da come si legge questa tragedia di Romagna dipende la vita e il benessere di una vasta area del paese. Se si usa il paradigma della contingenza emergenziale da questa tragedia non se ne esce, né si pone rimedio duraturo al problema ambientale legato al cambiamento climatico.

Ma se non si legge la tragedia della Romagna come un’eccezionalità allora il Pnrr è certamente un piano da impiegare, perché coerente al Green deal europeo. Il Pnrr rientra nel progetto eco-sociale che l’Unione europea ha impresso alla sua politica per i prossimi decenni.

Già alla sua fondazione, l’Unione aveva indicato la sostenibilità ambientale come una priorità. Dagli anni Novanta, grazie anche a Jacques Delors, venne stabilito il “dovere” di promuovere uno sviluppo sostenibile. Il Trattato di Lisbona include l’indicazione a “combattere il cambiamento climatico” e questa raccomandazione trova ora la sua affermazione autorevole nel Green Deal Europeo approvato nel 2019.

Passare qualche ora nel fango non è sufficiente. Può anzi essere una patina che copre un’incompetenza strutturale clamorosa. Si deve con urgenza prendere la strada di una politica socio-ecologica strutturale.

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