La notizia circolava da vari mesi e il trailer l'ha confermato: nel quarto film della saga di Thor, il Dio norreno promosso a supereroe dalla Marvel, ci sarà un Thor donna. E non so voi, ma mia figlia ed io siamo piuttosto impazienti di vederlo. The Mighty Thor, il ciclo di fumetti che ha lanciato l’eroina nel 2015, era semplicemente una delle cose migliori prodotte nell'ultimo decennio dalle parti del fumetto popolare americano. Lo sceneggiatore Jason Aaron, accompagnato da Russell Dauterman ai disegni, era riuscito nel miracolo di rinnovare la testata mandando in esilio il suo eroe titolare e sostituendolo - scandalo! - con la sua ex-ragazza Jane Foster. 

Chissà che non si ritrovi qualcosa di quelle tavole immaginifiche nel film di Taika Waititi, che aveva già firmato il precedente capitolo cinematografico. Già sappiamo dai trailer che ci sarà il personaggio di Gorr il Massacratore di Dei, invenzione nicciana che Aaron poneva a fondamento del suo ciclo narrativo: figlio tormentato di una razza aliena dimenticata dalle divinità, il massacratore - nel film interpretato da Christian Bale - si dedica a una millenaria vendetta per le sue preghiere inascoltate. 

È Gorr, nel fumetto, che rivela a Thor ciò che lo rende indegno del suo martello Mjöllnir. Ma  il sacro martello non può restare senza padrone, ed è così che finisce nelle mani di un'eroina riluttante, interpretata nel film da Natalie Portman.

Un problema di rappresentazione

Nathalie Portman (Foto Cosima Scavolini/Lapresse)

Finalmente anche mia figlia ha la sua super-eroina in cui identificarsi. A sei anni, ha già avuto modo di leggere le avventure a fumetti della potente Thor: abbiamo osservato la crisi esistenziale del figlio di Odino, in preda a dilemmi sulla natura stessa della propria divinità, e la follia di suo padre che consegna Asgard al dio della paura; abbiamo assistito alla trasformazione di Jane in dea del tuono e alla sua lunga battaglia contro il cancro; infine abbiamo seguito le trame degli elfi oscuri fino all’esplosione della guerra dei regni.

Chi volesse prepararsi alla visione leggendo l’intero ciclo di Jason Aaron, e non volesse procurarsi in due volumoni in inglese che lo ristampano integralmente, troverà in libreria i volumi editi in italiano da Panini: quattro per la serie Thor Dio del tuono, con al cuore lo scontro con Gorr, e altri sette intitolati prima La nuovissima Thor e poi La potente Thor con le avventure di Jane Foster.

Per chi vuole risparmiare, la serie di Aaron è ora in corso di ristampa in una collana di albetti brossurati da edicola. A questi si aggiungono i due volumi che raccontano La rinascita del Dio del tuono e il volume che che raccoglie l’essenziale del crossover La guerra dei regni, che vede i due Thor combattere fianco a fianco assieme a tutti gli altri eroi Marvel per sconfiggere l’esercito di Malekith l’elfo oscuro. E se proprio vi siete affezionati al personaggio di Jane Foster, le sue avventure proseguono nella serie Valchiria, in cui l’eroina dopo aver perso il martello si reinventa come guardiana del Valhalla.

Scomparso assieme al figlio di Odino il pomposo fardello di virilità stereotipata che mi aveva tenuto lontano dal personaggio negli anni dell'adolescenza - come quasi tutti, preferivo l’Uomo Ragno - con il ciclo di Jason Aaron ho scoperto un universo affascinante che unisce in modo originale il fantasy e la space opera, come un disco degli Hawkwind rifatto dagli Sparks. Quanto a mia figlia, ha potuto appassionarsi a un personaggio che in qualche modo le assomiglia, ritrovando alcuni elementi che le sono particolarmente cari: gli arcobaleni e i cavalli alati.

Sicuramente non era facile, fino a qualche tempo fa, trovare degli esemplari femminili nell’universo del fantasy e dei supereroi. Oggi non ci possiamo lamentare: su Netflix guardiamo le esilaranti Superhero girls della DC o le nuove avventure di She-Ra, la sorella di He-Man. Così ci incontriamo a metà strada con i nostri gusti, indifferenti a un’altra guerra dei regni: quella tra progressisti e reazionari. Ma la questione della diversità va ben oltre le mode “woke”.

Le solite polemiche

Chris Hemsworth (LaPresse, Cosima Scavolini)

Confesso di non essermi preso la briga di verificare in rete se la notizia della femminilizzazione del Thor cinematografico abbia suscitato ulteriore scandalo, forte della convinzione che gli indignati ci sono sempre e non sta ai giornali far loro da megafono.

Tuttavia è comprensibile che qualcuno - forse tu stesso, lettore? o magari tu, lettrice, innamorata dei muscoli di Chris Hemsworth? come dici, lettore, anche a te non dispiacciono quei bicipiti guizzanti? - è comprensibile, dicevo, che qualcuno possa vedere in questo gender swap l'indizio di una moda politicamente corretta che aveva già insidiato un'altra icona come James Bond, mentre ancora non si sono seccate le lacrime di qualche geek per il coming out bisessuale del figlio di Superman. 

A forza di volere essere inclusivi non c'è forse il rischio di snaturare il personaggio, nel caso di Thor un nerboruto vichingo che combatte i suoi nemici a martellate? Questo rischio c'è, o meglio ci sarebbe, se la nuova Thor ambisse effettivamente a sostituirsi al figlio di Odino. Anche se la storia pluridecennale del fumetto popolare ci insegna che gli eroi possono subire trasformazioni radicali pur restando sostanzialmente lo stesso archetipo, vedi Batman da guitto colorato degli anni Sessanta a cavaliere oscuro delle ultime incarnazioni. 

Oggi il Multiverso ha spazzato via anche le ultime resistenze: geniale espediente narrativo con enormi ricadute sul marketing, il Multiverso permette in effetti di far coesistere innumerevoli versioni dello stesso personaggio, con una storia diversa, una diversa etnia, un diverso genere sessuale, una diversa razza come dicono gli americani, o persino una diversa razza biologica se è vero che abbiamo visto uno Spider-Man maiale e un Loki coccodrillo. In questo modo, ogni gruppo sociale - limitiamoci agli esseri umani - può appropriarsi del mito collettivo a modo suo. 

Solo marketing?

Nel caso di Thor non c'è nemmeno bisogno di scomodare il Multiverso, perché la sostituzione del figlio di Odino da parte di Jane Foster è solo temporanea, nel fumetto così come (si suppone) nel film). Il modo in cui Jason Aaron sviluppa la trama non risulta in alcun modo pretestuoso, e anzi giustifica una saga di lungo respiro attorno all’indegnità del figlio di Odino e alla comparsa di una nuova Thor, guardata con sospetto dagli asgardiani. Lo stesso sospetto con cui una parte del pubblico sembra guardare questi esercizi di inclusività.

Eppure la Marvel era stata precorritrice: nel 1972 fu la prima grande casa editrice a dedicare una testata a un eroe afroamericano, Luke Cage, e negli anni 2000 ha fatto vari sforzi per diversificare la propria offerta, ad esempio lanciando le nuove Ms. Marvel e Capitan Marvel a opera di autrici di genere femminile (con risultato nel primo caso riuscito e nel secondo un po' meno). Questi sforzi si ripercuotono al cinema, dove abbiamo visto due film con protagoniste delle super-eroine, Black Widow e Capitan Marvel appunto, uno con un eroe di origine cinese, Shang-Chi, e uno con un cast multietnico, Gli Eterni.

In questo processo sono fondamentali gli autori, che la “casa delle idee” rinnova continuamente. Altrimenti si rischia di fare come J. Jonah Jameson al colloquio di assunzione di Carol Danvers, la futura Captain Marvel, in una vecchia storia degli anni Settanta: «Quindi lei mi vuole assumere perché io realizzi un magazine femminile secondo la sua visione». Per poi cercare di sottopagarla.

Dietro agli autori, qualcuno insisterà, alla fine è tutto marketing. Ma c'è davvero da scandalizzarsi? Il fumetto popolare nasce abbracciando il marketing, facendosi guidare dagli umori del pubblico, inventando stratagemmi per coinvolgere sempre di più sempre più persone. Ed è proprio attraverso la cinghia di trasmissione del pubblico che esso riesce a incarnare con agilità le trasformazioni sociali e offrire nuove occasioni d’identificazione alle lettrici e ai lettori.

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