Grazie agli ultimi provvedimenti del governo possiamo dirlo con certezza: in Italia l’evasione non è mai stata così conveniente. E solo per una categoria, i 5 milioni di autonomi che già evadono il 70% dei loro ricavi e già pagano legalmente, fino a 85mila euro dichiarati, solo il 15% di imposte; ma non certo per i 18,5 milioni di lavoratori dipendenti (doppiamente discriminati: pagano imposte molto più alte e sono obbligati a pagarle tutte). Che futuro può avere una «nazione» del genere?

Si capisce che sul fisco si gioca la vera partita decisiva del nostro paese. Si gioca il consenso a questa maggioranza, come Meloni sa bene, accarezzando gli umori più irresponsabili del suo elettorato, ma più diffusi.

E si gioca soprattutto l’alternativa fra declino dell’Italia, con il progressivo sfaldamento del nostro intero sistema, la caduta dei servizi pubblici e l’incancrenirsi di disuguaglianze e ingiustizie, e un rilancio, possibile: fondato su un’amministrazione che sia di aiuto ai cittadini e alle imprese e servizi in grado di garantire i diritti sociali e lo sviluppo umano ed economico, a partire dalla sanità e da una scuola di qualità. Ma affinché questo avvenga occorre imboccare la strada opposta a quella presa dal governo.

Si dirà: ma abbiamo appena avuto un recupero record di evasione nel 2023, 24,7 miliardi di euro. Meloni se ne è preso il merito. Quel recupero si deve però, come emerge chiaramente dai dati, al lavoro fatto dai governi Conte II e Draghi; per solo un quarto è riconducibile a una misura voluta dall’attuale governo, che poi per la verità è un ennesimo condono, la rottamazione quater (cioè si recupera oggi, una parte, accettando di perdere ancora di più domani: sarebbe un record da vantare?).

Oltretutto, proprio grazie agli ultimi provvedimenti l’evasione probabilmente tornerà a crescere. Forse anzi, parafrasando la premier, è proprio l’evasione che, se non bellissima, è quantomeno accettabile. E molto incentivata. Perché con le norme varate lunedì chi ha difficoltà a pagare potrà spalmare il proprio debito fino a 10 anni, in rate mensili, a un tasso di interesse molto più basso di quello praticato dalle banche; sempre posto che debba pagare, alla fine, perché da ora in poi l’Agenzia delle Entrate rinuncerà a riscuotere il credito passati 5 anni, e il contribuente potrà ragionevolmente sperare che nessuno ci riprovi più. E sempre che non vi siano nuovi condoni.

Quindi non solo c’è l’incentivo a evadere, per gli autonomi, per stare sotto la fatidica soglia degli 85mila euro (cosa che già avviene in massa, ci dicono i dati); ma le sanzioni diventano, di fatto, inesistenti.

Un’altra via

L’Italia avrebbe bisogno di ben altra riforma del fisco: che recuperi progressività, andando cioè in direzione contraria della flat tax; che tratti, a parità di reddito, tutti i contribuenti allo stesso modo; e che la smetta di incoraggiare l’evasione con favori e condoni, anche perché non è così che si possono ridurre le imposte.

Anzi, questa strategia è la classica toppa peggiore del buco: perché premia i comportamenti peggiori e perché porta, in prospettiva, a un’evasione sempre maggiore (e quindi alla necessità di tenere le imposte alte, su chi le paga).

Difatti, noi siamo il paese di tutta l’Unione Europea con la più grande evasione: oltre 83 miliardi di euro, e senza contare l’economia illegale. Se poi questa situazione viene pure incentivata, allora l’esito sicuro è lo sfascio: è diventare sempre più poveri e più iniqui. Di questo i cittadini, tutti, potranno esserne certi.

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