Negli ultimi 20 anni il paese è cresciuto pochissimo, al contrario della spesa pubblica (dal 45 al 54 per cento circa del Pil). Tuttavia sono diminuiti i salari reali e sono cresciute le diseguaglianze territoriali (anche se non quelle di reddito, secondo l’Istat), e la povertà, spesso connessa all’immigrazione. Un quadro solo apparentemente favorevole alla sinistra.

La causa principale percepita da chi si vede star peggio o non migliorare è esogena (accade spesso): la concorrenza internazionale e in misura minore l’immigrazione che deprime i salari più bassi, cioè “sfonda il pavimento” della scala salariale (chi compete contro chi prende 4 euro l’ora?).

Come “esogena” è percepita sia l’Europa, che ci spinge a liberalizzare, sia il resto del mondo con la globalizzazione e la delocalizzazione di imprese: sono i classici motivi sovranisti.

La pandemia ha poi, con il superbonus edilizio, consentito un’ottima politica keynesiana classica: il settore delle costruzioni è ad alta intensità di lavoro e a basso contenuto di importazioni, ma conferma le spinte a politiche tutte nazionali e a basso contenuto tecnologico, non può essere una ricetta duratura. 

Il nazionalismo fornisce argomenti rilevanti

Il nazionalismo della destra permette di cavalcare la spinta anti-globalizzazione (e anti-concorrenza più in generale, data la connotazione corporativa che caratterizza le nostre destre). Ma da sinistra ci sono da registrare spinte non troppo diverse, che possono ricondursi ad un generico anti-neoliberismo, buono per coprire spinte illiberali di ogni sfumatura, comprese quelle contro una globalizzazione, che, pur avendo colpito in qualche misura le classi lavoratrici interne ai paesi sviluppati, ha ridotto in modo spettacolare le differenze di reddito internazionali.

Negli ultimi vent’anni di quasi-stagnazione dei salari le imprese hanno sofferto assai meno dei lavoratori. Quelle capaci di operare con successo a livello internazionale hanno prosperato. Ma l’Italia è il paese delle piccole imprese a basso contenuto di tecnologia ed innovazione, dominanti nei servizi, e che hanno tutto da perdere da una crescita della concorrenza internazionale, sia europea che extraeuropea.

Queste imprese solidarizzano con i loro addetti, e auspicano frontiere più chiuse possibili, e soluzioni ai loro problemi tutte nazionali e pubbliche.

Una impropria alleanza di classe

Si determina così una alleanza di classe davvero corporativa tre lavoratori e imprese deboli, che connota anche in una ossessiva campagna nazionalistica che verosimilmente ha effetti profondi anche nell’immaginario collettivo, di cui la politica si nutre: “comprate italiano”.

Si promuove per questa via, che si estende anche alle componenti dei prodotti, un messaggio di superiorità dei prodotti italiani che spesso rasente il ridicolo, estendendosi ormai anche al cibo per animali. La stessa proibizione di coltivare o importare prodotti Ogm ha contenuti protezionistici, in quanto priva di riscontri scientifici, come sostiene invano la biologa Elena Cattaneo, fatta senatrice a vita per conclamati meriti nella materia.

Ed è talmente gradito al governo attuale questa visione autarchica che abbiamo un ministero dell’”Agricoltura e della sovranità alimentare”. E uno delle “Imprese e del made in Italy”.

Che fare? Non vi sono certo soluzioni semplici, se non ricordando che abbiamo un disperato bisogno di ricominciare a crescere, sia per i conti pubblici che per avere ricchezza da ridistribuire, e questo oggi si può fare solo con la tecnologia, che non può svilupparsi in economie chiuse, se hanno le dimensioni della nostra.

E forse ricordando anche che sia il liberalismo che il socialismo sono sempre stati fieri avversari del nazionalismo.

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