Nei giorni scorsi Mario Draghi ha fatto due viaggi a Washington. In realtà ne ha fatto soltanto uno, ma leggendo in parallelo i bilanci dei media stranieri e di quelli italiani sembrano due missioni diverse, unite solo dalla scansione degli appuntamenti. Sia chiaro: nessuno dei resoconti è, in senso stretto, falso.

Solo che Draghi nel tour, costruito attorno al perno dell’incontro con il presidente americano, Joe Biden, ha detto e fatto molte cose, e tocca a chi racconta per mestiere scegliere quali valorizzare come cruciali per capire cos’è successo e quali derubricare a elementi laterali o semplice retorica di circostanza. Mercoledì pomeriggio, dopo il punto stampa del presidente del Consiglio, Bloomberg ha scelto qual era la notizia fondamentale del viaggio e ha pubblicato un articolo intitolato: “Draghi dice che le aziende europee possono comprare il gas in rubli”. La posizione di Draghi, secondo cui pagare l’energia in rubli non viola le sanzioni dell’Unione europea, sconfessa apertamente la linea dettata dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e smentisce anche ciò che aveva detto sulle prime Francesco Giavazzi, consigliere economico di Draghi, quando Vladimir Putin ha imposto gli acquisti in valuta russa: «Farsi pagare in rubli sarebbe un modo per aggirare le sanzioni, quindi penso che continueremo a pagare in euro».

È una concessione notevole nella guerra energetica fra Putin e l’Europa, faccenda d’importanza capitale, perché Mosca finanzia il conflitto sul campo con i profitti di petrolio e gas.

La lettura di Bloomberg è stata data anche dal Financial Times e altri media anglosassoni, che hanno puntato molto anche sul “cartello” dei compratori di petrolio e hanno notato un’importante divergenza fra Draghi e Biden sulla questione del tetto dei prezzi: il primo lo vuole innanzitutto sul gas, il secondo sul petrolio. Non è una distinzione da poco.

Sui giornali italiani è stato raccontato un altro viaggio, al centro del quale c’era il consolidamento dell’alleanza con gli Stati Uniti, il rilancio di una soluzione diplomatica e il Golia russo che non è più Golia. “Draghi: Putin non è invincibile”, ha titolato in prima pagina i Corriere della Sera; la Repubblica si è concentrata sulla “via diplomatica”; la Stampa: “Draghi agli Usa: un tavolo per la pace”; Avvenire: “Per una pace non imposta”; il Fatto: “Draghi a mani vuote. Usa: sempre più armi”. E così via.

Ovviamente si tratta di cose che Draghi ha effettivamente detto o di legittime analisi che i media hanno tratto dalle sue dichiarazioni, soltanto che non sono le stesse che buona parte della stampa straniera considerava più importanti. Per trovare in prima pagina la notizia del pagamento del gas in rubli i lettori italiani si sono dovuti rivolgere alla Verità (e non parliamo dei presenti).

Dopo il fine settimana di ipnosi nazionale in cui soltanto i media italiani dicevano che Zelensky era incredibilmente pronto a cedere la Crimea a Putin e Stoltenberg smentiva altrettanto incredibilmente il presidente ucraino (mentre i media stranieri si occupavano di altro), ora la concessione alle richieste di Putin è stata oscurata dalla rappresentazione di Draghi come soldato votato alla causa americana oppure agitatore di ramoscelli di ulivo, a seconda delle preferenze editoriali.

Di gas in rubli si sono occupati i giornalisti Bloomberg, e cosa volete che ne sappiano di politica estera e di economia. La preoccupazioni per le influenze della propaganda russa nei media italiani sono sacrosante. Dovrebbero essere bilanciate da altrettanto serie preoccupazioni per le influenze dei media italiani su loro stessi.

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