Da qualche settimana, ginnaste ed ex ginnaste italiane denunciano il sistema di abusi psicologici che per anni hanno subito da parte di chi le allenava. Tutto è cominciato – sarebbe meglio dire ricominciato, perché altre ragazze in questi anni hanno già raccontato storie simili – a fine ottobre, quando Nina Corradini – 19 anni, ex ginnasta ritmica – ha rilasciato un’intervista a Repubblica.

Molte altre dopo di lei, nei giorni seguenti, hanno fatto lo stesso: Anna Basta, Giulia Galtarossa, Carlotta Ferlito, Vanessa Ferrari, Ginevra Parrini. Negli stessi giorni, è stato pubblicato Corpo libero, Mondadori, 2022, romanzo di Ilaria Bernardini, da cui è stata tratta una serie per Paramount, che racconta proprio questo sistema di abusi nel mondo della ginnastica. Ne parliamo con l’autrice.

Il tuo primo contatto con il mondo della ginnastica?

Più di dieci anni fa, quando ho lavorato a Ginnaste, vite parallele, programma andato in onda su Mtv. Era uno show pop, più vicino a un reality show che a un documentario – si aggirava tra le stanze dell’adolescenza delle ginnaste, le seguiva fino alle olimpiadi, ma senza scandagliare i fondali degli aspetti più dolorosi di ciò che facevano. Con questo romanzo invece ho cercato di scendere in profondità.

L’interesse per il mondo della ginnastica è nato in quel periodo?

Sì, e si è presto trasformato in ossessione, ma per me funziona sempre così. Guardavo i documentari sulle ginnaste cinesi, russe, rumene, spesso quelli su Nadia Comăneci – costretta a bere l’acqua dal water perché il suo allenatore non le permetteva neanche di dissetarsi, ché altrimenti avrebbe preso peso. E più mi informavo più l’interesse aumentava.

Cosa ti attirava di queste storie?

I loro colossali estremismi.

Piero Cruciatti / LaPresse

A proposito degli abusi sulle ginnaste. In Corpo libero racconti le violenze sia fisiche sia psicologiche perpetrate sulle ragazze e, sebbene si tratti di finzione narrativa, mi è parso di capire tu non ti sia allontanata da fatti realmente accaduti. A questo sottosuolo come ti sei avvicinata?

Inizialmente è stata più una sensazione fisica e inconscia. Quando lavoravo a Ginnaste, vite parallele avevo un accesso privilegiato alla palestra dove si allenavano le ragazze e lì, respirando la loro aria, ho avuto la sensazione che qualcosa non andasse. Solo anni dopo, quando alcune ginnaste ed ex ginnaste hanno parlato degli abusi subiti, ho avuto la conferma che effettivamente tante cose non andavano.

Ad ogni modo, molti episodi che racconto nel romanzo si nutrono delle voci di ginnaste di tutto il mondo. Ma soprattutto si nutrono della voce di un ex coach della nazionale con cui ho lavorato durante tutta la scrittura: mi disse «spero di non incontrare mai più un talento in vita mia». Tutto quello che vedevo nelle palestre e che ascoltavo per voce sua mi interessava moltissimo, tanto che ho cercato di far diventare Ginnaste, vite parallele un format internazionale: ho provato a mettere le telecamere anche nelle palestre delle nazionali americane, brasiliane, inglesi.

Come mai il progetto non è decollato?

La risposta ufficiale, dopo le lunghe trattative che a volte lasciavano spiragli di speranza, fu che le atlete si sarebbero distratte. O magari non ci volevano lì.

Perché?

Forse temevano anche che venisse a galla il sistema di abusi. La persona che in Inghilterra alla fine ci impedì di girare fu proprio Jane Allen, la direttrice della federazione inglese che due anni fa è stata dichiarata colpevole di avere coperto centinaia di abusi denunciati proprio a lei da diverse ginnaste.

Parliamo adesso di ciò che sta accadendo in questi giorni in Italia.

L’ordine degli eventi ha una geometria incredibile. Corpo libero e la serie che ne è stata tratta per Paramount sono usciti il 28 ottobre e il 30, due giorni dopo, c’è stata la prima denuncia di una delle ginnaste della nazionale italiana. Giorno dopo giorno sono arrivate le altre. Una coincidenza forte, come si fosse aperto un portale.

È la prima volta che le ginnaste denunciano violenze simili?

Assolutamente no, le ragazze parlano da anni. Negli Stati Uniti a denunciare questo sistema sono state circa 600, numero enorme. La prima risale al 1997, venticinque anni fa. Si pensa stia succedendo tutto adesso, ma la verità è che nessuno le ha ascoltate per molto tempo. Negli Stati Uniti sono arrivate anche all’Fbi, hanno denunciato Larry Nassar continuamente, ma nessuno ha mosso un dito.

Chi è Larry Nassar?

È stato l’osteopata della nazionale statunitense dal 1996 al 2017, anno in cui è stato rimosso dal suo incarico, poi processato per aver abusato sessualmente circa 500 ginnaste – 500, ma ti rendi conto? Nei vent’anni in cui ha lavorato con la nazionale, le ragazze lo hanno denunciato più volte – ne hanno parlato alle allenatrici, ai capi della federazione, alla polizia, sono arrivate fino all’Fbi, appunto: tutti, per un ventennio, hanno saputo di un pedofilo che abusava di bambine dai nove anni in su e continuava serenamente a esercitare la sua professione – ma nessuno ha fatto niente. Un po’ come è avvenuto con Epstein, come avviene con i preti accusati di pedofilia: Nassar veniva spostato da una palestra all’altra, ricoprendo, tra l’altro, ruoli sempre più prestigiosi.

In Italia?

In Italia non so di casi di abusi sessuali, ma le ragazze stanno parlando da anni di violenze psicologiche e fisiche molto forti. Vanessa Ferrari ci ha scritto un libro tre anni fa. Altre avevano parlato, ma di rado sono state ascoltate. Oggi a denunciare sono tante, sembra un’onda più difficile da ignorare, finalmente: Carlotta Ferlito, Nina Corradini, Ginevra Parrini, Vanessa Ferrari.

© Giorgio Perottino / LaPresse Torino, 07-06-2008 Sport, ginnastica ritmica XXIV Campionati d'Europa di Ginnastica Ritmica Torino 2008. Nella foto: la medaglia d'oro della squadra nazionale seniores italiana. © Giorgio Perottino / LaPresse Turin, Italy - 07-06-2008 Sport, gymnastics 24th European Championships of Rithmic Gymnastics - Turin 2008. In the photo: the gold medal of the Italian National Team.

Cosa raccontano?

Accadimenti molto forti. Venivano pesate nude davanti alle compagne, erano costrette a gareggiare nonostante avessero ernie molto gravi, si allenavano anche per otto o nove ore consecutive e a fine giornata non potevano neanche mangiare – o comunque pochissimo. La loro autostima veniva polverizzata. Venivano insultate. Umiliate. Questo, come ha raccontato Carlotta Ferlito, dagli otto anni in su. Parliamo di bambine che di certo non possono difendersi.

Sui social, specie sotto i post dei quotidiani che hanno pubblicato le storie raccontate dalle ginnaste e le loro interviste, ho letto commenti orribili e tutti a difesa non delle vittime, ma del sistema che per anni ha abusato di loro. Secondo te, qual è la ragione?

Le persone che lasciano questi commenti difendono un sistema di potere che viene erroneamente scambiato per lo sport in sé. Le ragazze non vogliono prendersela con la ginnastica – dovrebbe essere inutile specificarlo, eppure, a quanto pare, è necessario –, ma con chi le ha fatte soffrire. La ginnastica resta il più grande sogno di tutte. Ma ambienti del genere a volte sono come delle sette, formate da gruppi di persone che pretendono di lavare i panni sporchi in casa propria senza ingerenze esterne – di nuovo: come fa la chiesa con i preti accusati di pedofilia.

Tornando al romanzo. Corpo libero è imperniato sulla performatività – che negli ultimi tempi ha assunto un’accezione negativa. Ci viene chiesto di lavorare secondo livelli che vanno oltre la nostra salute, spesso. Tu che rapporto hai con questo genere di performatività? È una spinta che senti venire dall’interno, da te stessa, o dall’esterno?

Ne soffro in modo assoluto. Disfare questa narrazione secondo cui dobbiamo essere sempre perfetti è difficile, a tratti impossibile, ma credo che cercare di farlo sia quantomeno necessario. Il rischio è che s’inneschi un meccanismo malsano che ha a che fare con il senso di colpa, e con l’incapacità di fermarsi quando si è al limite.

La tua è una pressione interna, quindi?

Credo sia soprattutto interna. Potrei dire che in parte è dovuta all’educazione ricevuta, ma se guardo i miei fratelli e sorelle, e a come la stessa educazione abbia portato a modi di stare al mondo assolutamente diversi, piuttosto credo abbia a che vedere con la mia indole.

Ti accompagna da sempre?

Sì, fin da piccolissima. Ho cercato di pubblicare il primo romanzo a quindici anni e in generale sentivo di dover essere sempre brava, combattiva, diligente.

Pensi che in quanto donna questa pressione sia più forte?

Credo di sì. Una delle ragioni per cui la ginnastica mi affascina risiede nel fatto che queste ragazze sono la sintesi di tutto quello che viene richiesto a una donna: non possiamo invecchiare, dobbiamo tendere alla perfezione, il corpo non è nostro al cento per cento, dobbiamo sottostare a dei canoni il cui obbiettivo non è soddisfare noi stesse ma l’occhio giudicante di chi ci guarda.

La prima volta in cui ha sentito questa pressione, relativamente al corpo?

In preadolescenza sono diventata cosciente del mio corpo di femmina tra i maschi. Non ho attraversato l’infanzia o l’adolescenza indenne.

Un conflitto del tuo romanzo che mi ha colpito è l’amicizia tra le ginnaste protagoniste. C’è una gerarchia molto forte a regolarla, le ragazze spesso sono cattive tra loro ma, è ovvio, è una sorta di meccanismo di autodifesa, e quello di alcune tra loro sembra un rapporto di amicizia per necessità.

Parlare dell’amicizia mi interessava – è importante per me, ma soprattutto per le ginnaste che convivono per lunghissimi periodi della loro vita. Essere così vicine, fisicamente ed emotivamente, per queste ragazze significa investire tanto nella persona che hanno accanto. I rapporti che si creano in adolescenza sono intensi e forti per tutti noi, ma per le ginnaste, che determinate esperienze di quell’età le vivono all’ennesima, la cui casa diventa la palestra e la famiglia le compagne, lo sono pure di più.

A proposito di casa. È come se le ginnaste del tuo romanzo una famiglia non ce l’avessero. Ho pensato, quindi, alle violenze e agli abusi perpetrati sulle ragazze americane e inglesi, e mi sono chiesto come sia possibile che le famiglie di centinaia di adolescenti non abbiano mai notato niente.

Me lo sono chiesto pure io. Però, sai, ho un figlio di quattordici anni e capisco bene quanto sia difficile avere a che fare con un adolescente barricato dietro la porta sbarrata della propria stanza. A quell’età siamo tutti inaccessibili, chi abbiamo accanto raramente conosce tutto di noi, e i genitori sono tra i meno fortunati, in questo senso. Io stessa da adolescente ai miei raccontavo poco e niente di quello che mi accadeva, e non perché fossero dei genitori assenti o perché non tentassero di far breccia, semplicemente credo sia un passaggio naturale.

E comunque, va specificato che ci sono state molte famiglie che, in realtà, hanno capito che qualcosa non andava – tant’è che una delle allenatrici incriminate qualche anno fa diceva alle sue ragazze che la miglior ginnasta è la ginnasta orfana. Mi ha colpito il padre di una delle ginnaste vittime di Nassar che dopo il processo – non avendo creduto alla denuncia della figlia per molti anni – per il senso di colpa si è ucciso.

Cosa credi che avvenga nella testa di chi opera questi abusi, soprattutto in quella delle allenatrici che dovrebbero proteggerle?

A volte, nella storia di una donna c’è qualcosa, un trauma, che in qualche modo spiega perché siano capaci di spersonalizzare le ragazze che dovrebbero proteggere. Dev’esserci un danno nella sfera emotiva che permette loro di operare una cesura. Mi viene in mente anche Ghislaine Maxwell, che procurava le minorenni a Epstein: dov’era la sua empatia? Come gestiva la sua colpa e il loro dolore?

Nel romanzo le tue ginnaste ripetono spesso che devono essere pioniere del loro futuro. Che vuol dire?

È il loro mantra, qualcosa che all’inizio sembra incoraggiante e che però pian piano cambia completamente significato. Resisti al dolore, vai avanti e non ti fermare, continua senza lamentarti: alla fine il loro sorriso diventa un ghigno, il mantra una cantilena allucinata.

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