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Andreotti, Cossiga, Moro. Ognuno ha il suo stile, nel gestire le spie. Andreotti ama passi prudenti e sghembi. Scarta, se può, le prove di forza. Procede, sin dai primi passi all'UzC, per carsici percorsi.
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Moro – chi l’avrebbe detto? – sul palcoscenico dell’intelligence italiana della prima Repubblica è il vero demiurgo. Vola alto e, a differenza di Andreotti, considera i servizi segreti il nocciolo inscalfibile dello stato.
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Del resto proprio nella vicenda del sequestro, e dell’assassinio del leader Dc, va in scena l’ultimo e drammatico confronto, proprio su questi temi, di Andreotti, presidente del consiglio, e Cossiga, ministro degli Interni, con Moro.
Altro che recensione. Qui ci vorrebbe una bella serie tv. Una poderosa raffica di puntate. Attingendo spavaldamente alle oltre settecento pagine dei tre volumi editi da Rubbettino e curati da Mario Caligiuri. L’ultimo, uscito quest’anno, è Giulio Andreotti e l’intelligence. La guerra fredda in Italia e nel mondo. Un libro che si collega ai precedenti Aldo Moro e l’intelligence e Cossiga e l’intelligence. Sotto la lente di storici di valore – tra gli altri Biscione, Capperucci, Mastrogregori,



