Nella città dei morti Dante abita al nono piano di un caseggiato di periferia, con una ballerina di carta in fiamme.

Appena sono entrato nella sua casa, e me la sono vista davanti, mi sono gettato verso il secchiaio e ho spalancato il rubinetto, per cercare di spegnerla. Ma Dante mi ha sorriso e mi ha detto: «Non preoccuparti… lei arde sempre, però non si consuma mai».

La osservo meglio.

«Ma è la ballerina di carta di Andersen!», mi rendo conto improvvisamente, «quella di cui si innamora il soldatino di stagno!».

«Adesso invece me ne sono innamorato io!», mi risponde Dante, sorridendo.

Guardo meglio anche lui. È vestito modestamente, ha un paio di jeans sfilacciati, una felpa striminzita con la cerniera slacciata, scarpe da ginnastica ai piedi. Anche il suo aspetto è diverso da come è stato rappresentato nel corso dei secoli. Sì, certo, ha un grande naso aquilino, è affetto da prognatismo, però è piccolo, gobbo, con gli occhi sporgenti, barbuto. D’altronde lo aveva descritto così anche Boccaccio, nel suo Trattatello, anche se nessuno gli ha dato retta.

La ballerina in fiamme si sta spostando a passi di danza per la stanza.

«Ma brucia sempre?», chiedo ancora a Dante.

«Sì, sempre».

«E non si spegne mai, neanche quando dorme?».

«No, brucia anche nel sonno».

Mi guardo attorno. L’interno della casa è povero, però ogni cosa è illuminata dai bagliori di quella fiamma che danza.

«Come ci è finito qui?», provo a domandare.

«Mi hanno mandato in esilio in questo quartiere ai limiti estremi della città. Mi hanno esiliato anche i morti».

«Perché?».

«Perché i morti sono la stessa cosa dei vivi, perché i vivi sono la stessa cosa dei morti».

Rimango per un po’ in silenzio, mentre la ballerina di carta continua a danzare sulle punte dei suoi piedini in fiamme.

«E lei come ci è finita qui?», mi azzardo a chiedere a Dante.

«Lei è l’unica che ha voluto condividere il mio esilio».

La ballerina si ferma per un istante e lo guarda, e ci guarda, con la sua testolina e i suoi occhi in fiamme.

«E tu invece…», mi chiede Dante, continuando a darmi del tu, «come mai sei arrivato fin qui da vivo?».

«Perché sono l’inviato di un giornale dei vivi nella città dei morti e volevo incontrare Dante. Perché sono uno scrittore di un nuovo millennio che va in cerca di una vita nuova e che vorrebbe spaccare lo specchio e passare dall’altra parte. Perché ho saputo che nella città dei vivi c’è qualcuno che vorrebbe evocarla», gli rispondo tutto d’un fiato.

«Sì, lo so mi hanno detto di tenermi pronto, perché nel mio povero e incorreggibile paese fratricida c’è un condottiero che vorrebbe parlare con me attraverso il tempo e lo spazio e la vita e la morte».

«Un condottiero? E chi mai può essere?».

«Mi sono espresso così, ma so che adesso non usate più queste parole piene di significato e di forza, adesso usate parole come capo gabinetto, primo ministro, leader e altre parole con cui avete snaturato la vostra lingua e rimpicciolito le vostre anime e il mondo».

Il professor Occultis

Qualche istante dopo, da un punto della stanza in cui ci troviamo, dove c’è un tavolino a tre gambe, sento venire una voce dal timbro tenorile, che non mi è nuova.

La riconosco all’improvviso: «Professor Occultis!».

«Cornelius», mi corregge la voce, «adesso puoi chiamarmi Cornelius».

«Cosa sta succedendo, Cornelius?», gli chiedo, «chi è che ha chiesto di evocare Dante?».

«Lo saprete fra poco. Intanto andate a sedervi attorno al tavolino, uno vicino all’altro, con le palme sul piano, le dita che si toccano».

Non so se Dante ha mai fatto una cosa simile, perché all’inizio scuote due o tre volte la testa, prima di fare quello che Cornelius ci sta chiedendo da qualche punto della città dei vivi.

Adesso siamo tutti e due seduti attorno al tavolino, in posa da seduta spiritica.

La ballerina continua a danzare e a bruciare in silenzio, in questa casa sperduta nella sterminata città dei morti.

«Lei non parla?», non so perché mi viene da chiedere a Dante.

«Sì. La sua voce è il fuoco», mi risponde lui.

Un secondo dopo il tavolino comincia a ondeggiare.

«Sono Mario Draghi», dice improvvisamente una voce.

Resto immobile, sono sbalordito.

«So chi è, la conosco», risponde Dante.

«Sono il nuovo primo ministro, chiamato dal presidente della repubblica italiana Sergio Mattarella».

«Sì, conosco anche lui», risponde di nuovo Dante, «continuo a seguire anche da qui ciò che avviene nel mio sventurato paese e nel mondo».

«Sono stato chiamato a governare la nostra barca in piena tempesta, nel bel mezzo di una pandemia che non si riesce ancora a domare, e per gestire al meglio un’enorme massa di danaro in arrivo dall’Europa, che sta cercando di superare le sue millenarie rivalità e di diventare un continente federato e unito, una grande e prefigurativa unione, al fine di scongiurare crisi economiche e sociali catastrofiche, mentre altri paesi e altre nuove e moderne tirannidi stanno scommettendo sulla disintegrazione economica e politica del nostro continente e operando attivamente per questo fine. Eppure, nonostante la drammatica situazione in cui ci troviamo, sono già cominciati i soliti giochi al massacro, le solite prepotenze, i soliti sgambetti, i soliti tranelli, i soliti doppi e tripli giochi…».

Un paese feroce

Dante chiude gli occhi, sospira.

«So anche questo», risponde, «so come sono fatti gli uomini e so com’è fatta l’Italia, per averla vissuta sulla mia pelle: guelfi e ghibellini, bianchi e neri, Cerchi e Donati… L’Italia sembra un paese bonario ma è un paese feroce, privo di visione e feroce. Anche negli ultimi decenni: trame occulte, assassini, stragi, verità nascoste… L’Italia è il paese più cinico e incorreggibile d’Europa. Se l’Italia volgesse al bene invece che al male le sue grandi energie, la sua intelligenza, il suo genio, che grande e meraviglioso paese sarebbe! Sa...io sono un uomo di un altro tempo, ed ero inattuale anche allora. Si figuri, io di fronte alle fazioni che laceravano le città e i comuni portando gli uomini a dilaniarsi come belve feroci vagheggiavo l’impero, mentre si stavano invece creando le prime forme economiche, politiche e sociali che avrebbero portato al mondo umano di oggi, si stava creando una nuova classe borghese, stavano nascendo le prime banche. Ne ho parlato anche nel mio poema: la gente nova, i facili guadagni. E so che lei è stato un banchiere… Ma resta il problema di come governare gli uomini, soprattutto adesso, che hanno di fronte, oltre a tutte le altre, anche sfide naturali mai viste prima. Voi adesso avete il sistema dei partiti, la democrazia, che se gli uomini fossero buoni sarebbe il migliore tra i sistemi possibili. Invece non sono buoni, e allora non può che far crescere l’entropia. Ma con che cosa sostituirlo? Con le tirannidi sorrette dalle economie criminali, come ce ne sono adesso? Con le nuove tirannidi genetiche a venire? Con una monarchia universale, come vagheggiavo io nel mio tempo, sperando in un monarca illuminato? Ma poi, per un monarca illuminato, ce ne sarebbero altri nove al buio. Non si capisce ancora, in questo passaggio di ere e addirittura di specie, quale potrebbe essere il modo possibile di governare le masse sterminate di umani cresciuti a dismisura, fino a rendere sempre più difficile la loro vita su questo pianeta».

«Io ho provato a governarle attraverso l’economia», sento che sta dicendo la voce di Mario Draghi. «Quando ero presidente della Banca centrale europea, agendo sulle leve e sui meccanismi economici, ho cercato di impedire scompensi che avrebbero portato nel nostro continente lacerazioni gravi, implosioni e magari guerre, come ce ne sono state nei secoli passati e persino nell’ultimo decennio del secolo appena trascorso, quando è andata in pezzi la federazione della Jugoslavia e ne sono sorte guerre, fomentate anche da altre potenze e da capi politici e militari privi di scrupoli e in cerca di dominio, come ce ne sono anche nell’Europa di questi anni, che non sembra serbare memoria del proprio recente e tremendo passato».

L’economia

«Sì, lo so», gli risponde Dante, «sono molte le strade con cui si può portare sollievo agli uomini esacerbati, e anche i modi con cui si può incidere sul presente. In questa epoca l’economia è stata eretta a sistema totale e dimensione unica della vita umana e del mondo. Ma non è sempre stato così, c’è stato un tempo in cui gli uomini erano mossi, oltre che dall’avidità, anche da altre tensioni e forze, religiose, mitiche, immaginative, inventive, sentimentali, di conoscenza, in cui le loro menti e i loro cuori erano abitati anche da ideali, illusioni, sogni. Ora è il nudo scheletro econonico a dominare e innervare il mondo e ad assoggettare le menti e i corpi. Ma chissà che in futuro, se vorranno avere un futuro, gli umani non debbano inventarsi qualcosa d’altro che crei una diversa relazione, e che le forme economiche e politiche che adesso presentano se stesse come insuperabili non debbano lasciare il posto a qualcosa che in questo momento non si riesce neppure a immaginare».

Capisco che mi sono spostato irresistibilmente in avanti con la testa, che sto per dire qualcosa.

Però un secondo prima la ballerina passa volteggiando tutt’attorno al tavolino su cui Dante e io siamo ancorati, con la sua luce che ci circonda e che ci comprende come dentro un’aureola di fuoco.

«Che rumore è questo? È una voce?», sento che sta domandando Mario Draghi, con infinito stupore. «Non avevo mai sentito una simile voce?».

«È solo il crepitare di una ballerina incendiata che sta danzando nella città dei morti», gli risponde Dante. «È solo la voce del suo e del nostro fuoco».

Un inferno

Lo ascoltiamo tutti in silenzio, per un po’.

Poi non riesco a trattenermi e comincio irresistibilmente a dire: «Sta succedendo qualcosa di enorme che non si era mai visto prima. Siamo le prime generazioni umane che si trovano di fronte non a un semplice cambio di epoca o di èra ma a una possibile estinzione della loro stessa specie, che per alcuni scienziati è già in atto. È successo molte volte, nel passato, che interi popoli venissero sterminati da guerre, invasioni coloniali, oppure da mutazioni indotte da fattori economici, sociali, ma si trattava pur sempre di rivolgimenti interni alla stessa specie, mentre adesso siamo di fronte a una minaccia che incombe sull’intera specie. Ci sono stati uomini che hanno vissuto alcuni di questi terribili passaggi umani e che hanno avuto la lucidità e la forza di raccontarli, come Garcilaso de la Vega, El Inca, o come il pellerossa Alce Nero, oppure, in tempi più recenti poeti come Walt Whitman, che ha visto nascere la nuova potenza democratica e ne ha scorto subito, profeticamente, anche il baco che la minava dall’interno: il nuovo culto dell’avidità economica che si prendeva tutto, l’inaridimento e la corruzione delle anime che cominciavano a votarsi a questo nuovo e unico Dio. Oppure ancora, nel nostro paese, come Pasolini, che si è reso conto della mutazione antropologica che stava avvenendo. Anche loro inattuali, perché se non sei inattuale, se non hai dentro di te qualcosa di inviolabile e di inarreso che crei irriducibilità, scompenso e scarto con il presente, se sei sulla stessa lunghezza d’onda con quello che sta avvenendo, non riesci a vedere dall’esterno e a misurare la gravità delle mutazioni in atto. Però tutto questo è ancora niente di fronte a ciò che sta succedendo adesso, e che richiederebbe un’invenzione mai vista prima…».

Mi interrompo, perché la ballerina mi è passata cosi vicina che ho sentito sulle mie spalle e sulla mia nuca la sua carezza di fuoco.

«Voi avete trasformato la vita umana in un inferno», dice all’improvviso Dante, e nient’altro.

Poi, siccome nessuno dice più niente, mi getto ancora in avanti: «Abbiamo, come specie, solo poche centinaia di migliaia di anni, mentre la vita media delle altre specie è di qualche milione di anni. Eppure abbiamo combinato guasti tali che siamo già al cospetto di una nostra estinzione. Come è stato possibile che la specie che si è autoproclamata come la più intelligente si sia dimostrata la più stupida, la più incorreggibile, la più suicida…».

Mi interrompo ancora.

«Tutto questo è anche nei miei pensieri», dice dalla città dei vivi la voce di Mario Draghi. «Nel mio discorso di investitura ho parlato a lungo di questa priorità, dei problemi indotti dal rialzo climatico e dagli altri guasti ambientali provocati dagli uomini. Perché il fatto che, fin dalla mia giovinezza, mi sia votato allo studio dell’economia e che poi abbia imparato a muovermi con destrezza tra le potenze secolari del mondo e le sue figure non vuol dire che sia senza anima e senza cuore, che sia malvagio».

Un lavoro enorme

«Sì», gli rispondo dalla città dei morti «e io l’ho apprezzato molto. Lei ha detto che non è importante solo lasciare una buona moneta ma anche un buon pianeta. Lei ha mostrato più sensibilità e intelligenza di altri rispetto a questa emergenza assoluta e con lungimiranza ne ha visto le ricadute positive anche rispetto all’economia. Però è tutto il quadro su cui si fonda la nostra vita di specie che fa diaframma a una invenzione nuova e a una metamorfosi umana proporzionale a quanto ci sta succedendo. È l’intero quadro, economico, politico, culturale, che deve essere oltrepassato. Ma come farlo, e per di più nei tempi brevissimi che ci sono concessi? Lo so anch’io, è impensabile che ciò avvenga attraverso una presa di coscienza generale e contemporanea, è impensabile che gli umani di punto in bianco, all’improvviso, si rendano conto del disastro che hanno combinato e che si affratellino per farvi fronte. E allora, lo so, serve anche l’eterogenesi dei fini, il lavoro umile, sporco, blandire le stesse forze che ci hanno portato al disastro, parlare il loro stesso linguaggio, far leva sui loro stessi appetiti cercando di volgerli a un fine utile. Perché che cosa succede se un sistema che aveva retto il mondo fino a un secondo prima crolla di colpo? Non è che se ne sostituisce all’improvviso e per incanto un altro. Come avviene il passaggio? Un sistema crolla quando un altro se ne sta formando e sta crescendo al suo interno? Oppure non se ne può formare uno nuovo se prima non è crollato il precedente? Non lo so, non lo so, qui ci sono di mezzo anche le illusioni della mia giovinezza… Perché le palingenesi politiche e sociali dei secoli precedenti non hanno portato vera trasformazione e oggi anche una rivoluzione orizzontale dentro le stesse strutture che l’hanno originata non basterebbe più, perché oggi c’è bisogno di una trasformazione verticale, di una metamorfosi, come ne hanno affrontate molti altri esseri di altre specie che popolano da milioni di anni il nostro pianeta, vegetali, animali… Allora perché non dovremmo avere dentro di noi questa stessa forza dormiente?».

Mi fermo di nuovo, perché non riesco più a parlare.

La ballerina di carta sta continuando a danzare, a crepitare, a bruciare.

C’è un lungo silenzio.

«Il lavoro che ci aspetta è immenso. Lasciamoci così, da terrestri», dice dopo un po’ la voce di Mario Draghi.

«Questa seduta è finita, è appena cominciata!», irrompe ancora la voce di Cornelius, che sembra un canto.

Mi si chiudono gli occhi, sento che mi sta venendo addosso un irresistibile desiderio di sonno.

«Fermati un po’ da me, riposati un po’», mi dice con dolcezza la voce di Dante.

«È tanto che sono qui nella città dei morti e non mi sono mai fermato a dormire…» riesco ancora per un istante a pensare. Poi sento solo che due mani mi stanno sollevando di peso e adagiando su un divano che c’è nella stanza, e che altre due piccole mani in fiamme mi stanno coprendo il corpo e la parte inferiore del volto con una coperta, senza bruciarla, senza bruciarmi.

 

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