Dopo avere intervistato Maradona e il dottor Freud sono tornato come se niente fosse nella città dei vivi. Come ho fatto? È una storia lunga. Ve la racconterò un’altra volta. Adesso vado subito al sodo. In questo momento sono qui, in mezzo a voi. Mi guardo attorno: le solite piazze, le solite strade, le solite auto lanciate, guidate da vivi che sembrano morti, mentre nell’altra città erano guidate da morti che sembravano vivi.

Il mio cellulare sta squillando di nuovo.

È il capocultura.

«Sei arrivato?»

«Sì, e spero di non doverci più  ritornare, nella città dai morti!»

«Oh, non credere… vedrai che ci tornerai, e anche presto! Sei il nostro inviato in quella città, nessun altro giornale ce l’ha, in Italia, nel mondo. Tu sei l’unico che può arrivare fin là e poi può ritornare, e poi ci può andare di nuovo… Sei il nostro jolly, la nostra esclusiva».

Mi tocco in una certa parte, non sto a dirvi quale.

«E adesso che cosa succede? Mi avevi detto che dovevo incontrarmi con il professor Occultis, l’amico del Grande Blek… che c’è in ballo una cosa sensazionale…» gli chiedo con diffidenza, perché mi sa che questa volta il capocultura l’ha sparata grossa.

Invece mi risponde tranquillamente: «Certo! È dietro di te!»

Mi giro di scatto.

Non credo ai miei occhi: il professor Occultis è lì!

Ma come fa il capocultura a saperlo? Si vede che mi sta parlando al cellulare da qui vicino e mi vede, oppure che è in redazione ma ha trovato il modo di collegarsi alle telecamere sparpagliate per la città. Diavolerie dei giornali…

Incontro con il professore

Il professore è uguale a quello del fumetto che leggevo da bambino e da ragazzo: baffi e pizzetto a spillo, calze bianche, brache al ginocchio, panciotto, grande cappello con fibbia…

«Professor Occultis!» gli dico sbalordito «Cosa ci fa lei qui?»

«Sono tempi duri, se c’è da dare una mano io ci sono» mi risponde con voce tenorile. «Il Grande Blek si è rammollito, se ne sta sempre a casa in pantofole, a fare i videogiochi. Io sono un occultista, vengo a sapere molte cose, mi chiamano… Ma adesso basta con le chiacchiere, sbrighiamoci! Dobbiamo fare presto, se no quelli là cominciano senza di noi!»

«Cominciano cosa?» gli chiedo.

Non mi risponde, perché è già partito a razzo, in mezzo alla folla dei vivi che non fanno caso a quell’omino panciuto vestito con abiti di altri tempi e di altri mondi, perché ormai qui nessuno fa più caso a niente.

Non capisco cosa sta succedendo. Però lo seguo.

Due personaggi inaspettati

Taxi, metropolitana, per fare più presto… Vi risparmio i particolari del viaggio, anche perché sono coperti dal segreto… giornalistico, in questo caso.

Arriviamo davanti a un palazzo dalle ante tutte chiuse, nonostante sia giorno.

Il professore si avvicina alla griglia dei campanelli. Ne preme uno.

«Chi è?» chiede dopo un po’ una voce sospettosa, che mi sembra di riconoscere.

«Sono il professor Occultis!» esclama il mio compare, con la sua voce di una tonalità sempre più alta del normale.

«Prima scala a destra, terzo piano» risponde la stessa voce.

Si sente lo scatto del portone che si apre.

Ci infiliamo dentro.

Siamo nell’ascensore. Non oso alzare gli occhi, mentre salgo con il professor Occultis, arrivato fin qui da chissà dove.

«Si metta la mascherina!», mi dice improvvisamente. «Si infili gli occhiali da sole, così non corriamo rischi che possa venire riconosciuto!»

Tiro fuori la mascherina, che tengo sempre in una tasca perché siamo in piena pandemia, mi applico le lenti da sole sugli occhiali.

Lui invece non si mette la mascherina, perché si vede che i personaggi dei fumetti non vengono contagiati dai virus.

Arriviamo al piano. Usciamo dall’ascensore.

C’è una porta aperta, e sulla porta ci sono… è incredibile: Salvini e la Meloni, tutti e due senza la mascherina.

Sono esterrefatto.

«Proprio loro…» riesco solo a pensare, «ne avevo appena parlato col dottor Freud!».

Oh yeaaaaaaaah

Ci fanno entrare, però Salvini si gira a guardarmi sospettoso.

«Chi è quello lì?» chiede al professore.

«È il mio assistente».

«Come si chiama?»

«Jaroslav».

Savini mi guarda un’ultima volta con sospetto, poi si gira.

Ci sta guidando verso una sala più grande, al centro della quale c’è un piccolo tavolo circolare, da seduta spiritica.

Nella sala ci sono anche altre persone, tutte senza mascherina, tra cui riconosco…  non credo ai miei occhi… Steve Bannon!

«Siamo collegati con Donald, in viva voce!» annuncia Bannon.

Adesso sono tutti immobili, attenti. Non si sente volare una mosca.

«Donald, è andata male! Cosa dobbiamo fare?» domanda Salvini.

«Oh yeaaah!» risponde la voce di Trump, alta, come un grugnito.  

«Donald, siamo nella merda!» grida la Meloni.

«Oh yeaaaaaaaaah!» risponde la voce.

«Donald, che ne sarà del nostro disegno bianconazi mondiale?» domanda Bannon.

«Oh yeaaaaaaaaaaaah!» risponde ancora la voce.

«È lei il comandante in capo, ci dia un ordine e noi eseguiamo!» dice un uomo in divisa da generale con il petto pieno di medaglie, mettendosi sull’attenti.

«Oh yeaaaaaaaaaaaaaaah!» risponde il grugnito, salendo sempre più di tono.

«Che ne sarà della nostra battaglia per il cristianesimonazi mondiale, contro l’anticristo che siede sul seggio di Pietro?» domanda un uomo vestito da cardinale.

«Oh yeaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!» risponde la voce, con un nuovo lacerante grugnito.

I presenti si guardano in faccia.

«Qui non caviamo un ragno dal buco!» dice Salvini, sconsolato. «Non ci resta che chiedere a Lui…»

Si gira verso il professor Occultis.

«Forza! Si dia da fare!» gli dice.

Il professore solleva le braccia, rimane in silenzio per qualche istante, chiude gli occhi.

«Sedetevi tutti attorno al tavolino!» dice all’improvviso, con la sua voce tenorile.

Non sembra che parli, sembra che canti.

«Cellulari staccati, mani sul piano, che si toccano con quelle del vostro vicino!» continua a ordinare, ispirato.

Si toglie il suo alto cappello a forma di cono tronco e lo posa al centro del tavolino.

Si gira verso di me.

«Jaroslav, ritiri tutte le catenine, i crocefissi… soprattutto i rosari!»

Faccio il giro, ritiro catenine, croci piccole e grandi, pesanti come tirapugni, anche il rosario di Salvini, che mi guarda di storto prima di decidersi a ficcarsi la mano in tasca e a consegnarmelo.

«Vieni a noi, grande spirito nero!» comincia a invocare il professore, come in trance.

«Sì, sì, vieni a noi, vieni a noi!» gli fanno eco le altre voci.

«Ispira le nostre menti e i nostri cuori!», continua a dire il professore.

«Sì, sì, ispira, ispira…» invocano tutti gli altri.

Vanno avanti così per molto. Finché, all’improvviso…

«Ich bin hier... Sono qui!» si sente dire una voce, non si capisce da dove.

Mi corre un brivido lungo la schiena, perché l’ho riconosciuta.

«Noi abbiamo imparato, noi abbiamo studiato!» si accavallano a dire molte voci. «La tua ascesa al potere è stata fonte di ispirazione per noi, abbiamo letto e riletto con fervore il Mein Kampf… Dove abbiamo sbagliato? Perché finora non ha funzionato?»

«Perché è andata a finire così?» si slancia a domandare inaspettatamente anche Trump, dal vivavoce.

«Perché sei un coglione!» gli risponde la voce di Hitler.

Quei baffetti

Profondo silenzio.

Si sente venire un gemito, dal vivavoce.

«Un miliardario che dice di essere contro le élite e parte del popolo!» comincia a dire la voce di  Hitler. «Io venivo dal basso, la mia ascesa è stata credibile, il trucco è riuscito. Tu invece ti sei fatto costruire dei grattacieli dove si dice ci siano i cessi con i rubinetti d’oro. Io stesso sono stupito, sono sbalordito che tutti quei boccaloni frustrati ti abbiano seguito e continuino a farlo. Persino io lo sono, che ho disprezzato le masse e l’ho anche detto che le disprezzavo, ho scritto nero su bianco come si fa a soggiogare e manipolare delle masse che si disprezzano, e quelle mi sono venute dietro lo stesso, hanno massacrato e si sono fatte massacrare per me. Invece voi... miliardari che guardano dal video quelle teste imbottite di segatura che vanno all’assalto del Campidoglio, e intanto ballano e ridono, “Combattete, coglioni!” gridano con le loro vocette stridule, ancheggiando... E poi il tuo aspetto… sembri un tacchino farcito!»

«E tu allora, con quei baffetti?» risponde risentito Trump, dal vivavoce.

«Quei baffetti me li sono studiati. Prima avevo dei baffoni a manubrio, ma con quelli non andavo da nessuna parte. Invece con quei baffetti e quel ciuffo, e poi con quei vestiti da civile, quelle divise… da piccolo borghese delirante, da asceta criminale e poi da odalisca folle... Io sono stato l’incarnazione del demonio in una nazione che ha Mefistofele come maschera nazionale. Io ho fatto una scommessa grossa e ho chiesto tutto, e così mi hanno dato tutto, mi hanno venduto l’anima. Voi invece vorreste prendere da me quello che vi serve per conquistare il potere e togliere quello che è di troppo: i forni crematori, le camere a gas, i milioni di giudei sterminati… quelle che vi sembrano le mie esagerazioni, le mie fissazioni. Ma non è possibile! Una macchina simile può funzionare solo così!»

«Io ci ho provato con la razza bianca…» si azzarda a interrompere Trump.

«Troppo poco! Ci vuole anche il capro espiatorio assoluto, il nemico assoluto, come ho fatto io con gli ebrei».

«Ci ho provato coi neri, gli ispanici, i muri…»

«Troppo poco, e mai a viso aperto! Hai giocato di sponda: con la polizia che pesta e ammazza i neri, con le fake news in rete, con i gruppi razzisti, Ku klux Klan, neonazisti… Però poi sei dovuto andare a cercare i voti degli ispanici, perché questo è il meccanismo di quella che vi ostinate a chiamare democrazia…»

«Anch’io ci ho provato con gli zingari, poi con i drogati, gli immigrati, i porti…» azzarda timidamente anche Salvini.

Ma la voce di Hitler è ormai un fiume in piena: «Un nemico solo! Un nemico solo! Ve lo avevo spiegato bene nel Mein Kampf! Invece voi in Italia… prima c’erano i terroni, i napoletani da far annientare dal Vesuvio, poi gli albanesi, poi sono arrivati gli zingari, i drogati, poi i migranti dall’Africa… Un nemico solo, potente, assoluto, a cui addossare tutte le colpe, non un’accozzaglia multiforme di miserabili da agitare volta per volta. Per non sviluppare il senso critico nelle masse. Ve lo avevo spiegato! E tu invece… prima facevi il comunista, adesso il fascista con il rosario, che bacia quel giudeo crocefisso... E poi i tiranni… vi piacciono tutti, basta che siano tiranni: slavi, russi, asiatici… Non capite la differenza tra dominio e tirannide, non avete un punto fermo, una leva con cui sollevare questo mondo di merda!»

Orde senza controllo

Adesso se ne stanno tutti in silenzio, mortificati.

Poi, all’improvviso, la voce di Hitler scoppia a ridere.

«Neonazisti Usa?» sghignazza, rivolgendosi a Trump «Ma voi americani non eravate i miei nemici giurati, non siete quelli che mi hanno combattuto, che sono sbarcati in Europa per sconfiggermi e radere al suolo la Germania, che hanno pagato un tributo di mezzo milione di militari morti per annientarmi? E invece adesso vedo nei telegiornali della città dei morti che ci sono degli idioti con le corna, dei panzoni armati fino ai denti e in tuta mimetica, delle vecchie baldracche spiritate e con la dentiera che inneggiano al tacchino neonazi spodestato, che la rete è piena di siti che si dicono neonazisti e inalberano simboli delle mitologie nordiche… Mi viene da ridere! Qui bisognerebbe parlare di come nascono e tramontano i sistemi di dominio sugli uomini, della democrazia e della tirannide. Perché i sistemi sono passeggeri, perché anche la democrazia è un sistema passeggero reso possibile da un surplus temporaneo di ricchezza di cui spartire le briciole con quella che chiamate la classe media. Voi americani, dopo esservi dilaniati con la guerra civile, state insieme solo perché il dominio economico e militare che avete conquistato sul mondo ha finora permesso una spartizione del bottino tra i vostri stati e le vostre classi, che per questo hanno ancora interesse a restare insieme. Ma quando, sotto la spinta delle nuove potenze asiatiche e di altre emergenze, questo dominio sarà tramontato del tutto o fortemente ridimensionato e non ci saranno più briciole da spartire, allora vedrete che fine farà la vostra federazione di stati! Come si sbriciolerà, come si affermeranno sistemi sempre più autoritari per tenere insieme questa federazione o le diverse federazioni che l’interesse non riuscirà più a legare! Mentre nuove emergenze economiche, climatiche e planetarie creeranno enormi migrazioni di popoli in questo pianeta sovrappopolato, e allora bisognerà tenere in pugno con la forza e con nuove deliranti e ancora più estreme illusioni queste masse che si sposteranno atterrite… Perché, forse che nell’antica Roma la repubblica non ha ceduto il passo ai generali ribelli, ai Cesari, agli imperatori, e poi alla loro decadenza, quando hanno cominciato a scendere dalla mia Germania e attraverso di essa le orde teutoniche e asiatiche che avete chiamato barbariche ma che erano solo i presagi delle mie orde e di quelle che ci saranno in futuro, provenienti da più lontano ancora, dalle sterminate città dell’Asia, come eruttate da un vulcano seminale di specie…».

La città dei morti, di nuovo

La voce di Hitler si interrompe di colpo.

C’è un silenzio impietrito. Tutti si guardano in faccia, con gli occhi sbarrati, i palmi delle mani e le dita ancora allargate sul tavolino.

«Ma è inutile parlarne con questi imbecilli» riprende a dire la voce di Hitler. «Questi qui sono solo dei piccoli apprendisti stregoni. Professor Occultis, venga a trovarmi nella città dei morti che ne parliamo meglio e più a fondo…»

Si interrompe di nuovo.

«E porti anche il suo assistente!» conclude.

Mi sento tremare le gambe.

Nella sala c’è un impressionante silenzio, sembrano tutti pietrificati.

Il professor Occultis e io ci scambiamo un’occhiata.

Lui prende il suo grande cappello ancora al centro del tavolo e se lo ficca in testa.

Poi, piano piano, muovendoci in silenzio tra quelle figure immobili come statue e alzando esageratamente le ginocchia e i piedi per non fare rumore, come nei cartoni animati, ce la svigniamo.

Attraversiamo la sala, arriviamo alla porta, la oltrepassiamo.

Ci infiliamo nell’ascensore.

Scendiamo in silenzio, senza guardarci.

Usciamo dal portone del palazzo dalle ante chiuse anche in pieno giorno.

Facciamo ancora qualche passo, sempre senza parlare, io con i miei jeans sfilacciati e le mie scarpacce e quell’omino in scarpini, panciotto e cappello con fibbia.

Sento che il mio cellulare si è messo improvvisamente a suonare, nella tasca.

Lo tiro fuori, premo il tasto della ricezione, me lo accosto all’orecchio.

«Come è andata? Che cosa è successo?» mi chiede ansiosamente il capocultura.

«Abbiamo fatto una seduta spiritica con Hitler. C’erano anche Trump, Bannon, Salvini, la Meloni, un generale pieno di medaglie, un cardinale, altre persone fuori di testa che non ho riconosciuto. Hitler ci ha invitati nella città dei morti, per parlare con lui, intervistarlo…»

«Devi andarci subito!»

«Non ne avrei molta voglia…» provo a dire.

«Allora fattela venire! Non so se ti rendi conto… Questa è una bomba! Intervistare Hitler!  Da morto! Una cosa simile gli altri giornali se la sognano!»

La comunicazione si interrompe.

Mi giro verso il mio compare.

«Professor Occultis, e adesso cosa facciamo?» gli chiedo.

Si appuntisce i baffi a spillo, con le dita, segno che sta pensando.

«Io direi di andare» mi risponde, con quella sua voce che sembra un canto.

Facciamo ancora qualche passo, in silenzio.

«Se la sente?» mi chiede dopo un po’.

Sospiro.

«D’accordo, partiamo!» gli rispondo.

Il professor Occultis mi guarda sorridendo, mentre mi tolgo le lenti da sole e la mascherina, che nella città dei morti non serve.

Poi mi dice: «Possiamo darci del tu, puoi chiamarmi Cornelius».

E così io e il mio compare ci incamminiamo verso la città dei morti, dove ci attende la belva.

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