La sua maestra di vita e di scena, Franca Valeri, ripeteva che «il teatro insegna a tradimento». In questo caso il teatro salva perché Urbano Barberini, principe ed erede di una delle più importanti famiglie aristocratiche d’Europa, è diventato adulto in scena.

Per dirlo ha prima scritto un libro, La bellezza nel destino, e poi, con Daniele Falleri, uno spettacolo teatrale dal titolo eloquente: Barbari, Barberini e barbiturici. Solo che la pièce teatrale, in scena dal 17 gennaio al teatro Off-off di Roma, non è solo un viaggio nella vita di un principe diventato attore, ma anche la fatica del rapporto madre-figlio, il vuoto e la noia della dolce vita, la ricerca di un posto nel mondo che non fosse con un bicchiere in mano pasteggiando Champagne.

Un viaggio esilarante e ironico che alterna gli inciampi degli inizi agli incontri con gli attori e i registi del grande cinema, ma che in controluce mostra fragilità e mancanze. 

Le Peroni della nonna

Barberini vanta nel suo albero genealogico quattro papi, nascere principe è un’avventura che appare un trastullo, uno svago agognato, ma impone strani obblighi, tipo chiamare tua madre Mamy e soprattutto non vederla mai. «Ma ti pare che mentre esco con un Agnelli devo tenermi vicino un moccioso che mi piscia addosso?», si chiede Barberini mentre interpreta con voce femminile e acida sua madre.

Lo spettacolo è un continuo scambio di punti di vista, di battute taglienti che si fanno gioco del politicamente corretto, il testo è sconsigliato a chi, bandendo Tony Effe dal Capodanno romano, ha pensato di salvare il mondo. In scena entra in gioco anche un altro personaggio che chiude il triangolo familiare: la nonna. E qui i ricordi diventano rocamboleschi, quasi ingestibili.

Come quando, ovviamente con la nonna, andava a trascorrere le vacanze in Svizzera, e a Montreaux prendeva il trenino che si riempiva di celebrità e rappresentanti dell’aristocrazia europea, le fermate servivano a intrattenere conversazioni leggere, si scendeva dal treno con un’agenda già ricca di appuntamenti mondani.

La nonna con addosso una pelliccia di visone bianco e un foulard di Hermès viaggiava con due valigie rosse di finta pelle acquistate a Porta Portese, che contrapponeva con orgoglio alle Gucci del nipote principe. Quel giorno Barberini non lo scorda più. A un certo punto la valigia della nonna cedette rivelando, tra gli abiti, alcune bottiglie di birra Peroni, suscitando stupore e ilarità negli occhi dei ricchi viaggiatori.

Con un’adolescenza così tra mancanze e abbandono, «ero un adone, un cartonato di bellezza con dentro praterie di fragilità», racconta Barberini, bisognava diventare presto grandi e trovare una strada. Così arriva il momento clou dello spettacolo: l’incontro con il cinema, il primo ciak. Barberini mente a un regista che gli chiede se sapesse o meno recitare, risponde con un falsissimo «Sì». Da qui inizia un crescendo di colpi di scena, di rovinose cadute, di incontri con i giganti.

La mano sbagliata di Massimo Ranieri

Ci vuole altezza morale e follia per ridere delle proprie cadute. Barberini ci porta sul set, racconta la sua prima volta. Era pronto a recitare in uno sceneggiato, la moderna fiction, con protagonisti Tullio Solenghi, Massimo Ranieri, Francesca De Sapio. Ovviamente il suo personaggio era un aristocratico elegante, amante dei cavalli, il conte Morello Agonigi.

La scena era semplice: un baciamano a Barbara Nascimbene, una delle attrici. Semplice per modo dire, basti pensare che dopo pause, malori, quasi svenimenti, una porta distrutta e il nervosismo che serpeggiava tra i protagonisti finalmente dopo svariati ciak si arriva al baciamano. «Quando afferrai con grazia la mano e finalmente la baciai, come un naufrago che raggiunge la terraferma, ho avvertito un fastidio, era la peluria. Mi resi conto che stavo baciando la mano di Massimo Ranieri, che mi guardò perplesso: “Ma che fai?”», racconta Barberini.

Il disastroso esordio si concluse peggio di ogni più nera aspettativa con un incidente indimenticabile e tre costole rotte. Le risate nello spettacolo non mancano, l’ironia è strumento liberatorio e catartico, è servita prima al protagonista per attraversare i suoi deserti e poi piomba deflagrando in sala. 

Da quel rovinoso esordio passa un tempo di riflessione, Barberini si mette sotto, studia per diventare attore, e arrivano i film e i registi che contano come Dario Argento, ma non solo. Gira una scena fugace e indimenticabile con quel gigante di Marcello Mastroianni. «Al momento di girare, fu un attimo, e ci incantò con la sua umanità piena di grazia e di ironia», racconta Barberini.

Lo spettacolo è il naturale prosieguo di un grande successo della coppia Barberini-Falleri, Sulle spine, la storia di Silio che armato di ramazza sgombra la scena da ogni macchia, inseguendo il miraggio di poter spazzare via il proprio passato. Proprio grazie a Sulle spine inizia l’amicizia e il connubio teatrale con Franca Valeri, maestra di vita e teatro di Barberini. Un connubio che dura 25 anni fino alla morte di Valeri, ma al principe-attore resta addosso quell’umanità e sussurri di quell’inarrivabile ironia perché «Franca ha reso la scena migliore della vita». 

© Riproduzione riservata