Definizione: abbondano nei romanzi gialli. Eh, dipende dalle lettere. Se sono otto: cadaveri. Se sono dieci: commissari. Se sono sei, mmm, vediamo, se sono sei lettere: pagine. In effetti ce ne sono, di gialli, che vanno oltre le cinquecento pagine, Città in fiamme di Garth Risk Hallberg arriva addirittura sopra le mille. Certe volte sono pieni di dialoghi, una frase e daccapo, una frase e daccapo, così s’arriva in fretta al malloppone. Ma il punto adesso non è questo. Il punto è che incastrare una parola in mezzo a molte altre, una lettera in ogni casella bianca dell’enigmistica fino alla prossima casella nera, assomiglia parecchio a un’indagine.

Definizione: a volte è impenetrabile. Soluzione: mistero. Il mistero è nei gialli, il mistero è nei cruciverba, tutt’e due vengono da un tempo lontano nel quale cercavi qualcosa per riempire le lunghe giornate d’estate, quella stagione dove tutto scorreva al ritmo d’una lentezza inesorabile, una catena di stupore e di noia, di noia e di stupore, era una pausa, la chiamavamo vacanza. Uno spazio lasciato vuoto dai gesti quotidiani e dalle solite nevrosi, faceva meno caldo d’oggi, in compenso nessuno si portava il computer in spiaggia. Si entrava dentro un altro mondo e ne uscivi a settembre, era il mondo dei gialli, dei cruciverba.

La supremazia della carta

Solo che (otto lettere, verticale): sorpresa. I gialli e i cruciverba resistono e lottano in mezzo a noi. Sono oltre il tempo. L’hanno sconfitto. Come i braccioli dei bambini e i ventagli delle signore, altri due oggetti che hanno attraversato l’estate, da Fred Bongusto e i Righeira fino a Spotify. Puoi anche portarti in tasca un piccolo ventilatore a pile, ma vuoi mettere. Con i cruciverba è lo stesso.

Una ventina d’anni fa, nel pieno della prima sbandata verso la transizione digitale, sono nati siti internet dove si potevano mettere le parole in croce con una tastiera e dei polpastrelli su uno schermo. Ancora si può, ma l’onda è stata trattenuta. Non ci ha travolto. I cruciverba si fanno principalmente come mezzo secolo fa, con la matita e la gomma, con la penna e il bianchetto. Si esce di casa, si va all’edicola, e il digital first stavolta viene per secondo. Infili gli occhiali e inizi la tua indagine fra i quadratini bianchi e neri, come una sonata di parole sui tasti del pianoforte.

Definizione: vi brancola la polizia nei film anni Settanta. Questa è facile: buio. Ci sei dentro quando devi scoprire il colpevole del tal delitto così come quando devi risolvere “il Bartezzaghi”, il più complesso degli schemi sulla Settimana Enigmistica. Un cognome diventato un modo di dire. Viene da Piero, autore delle parole crociate a schema libero, per tradizione a pagina 41 della «rivista che vanta innumerevoli tentativi di imitazione», inventore di neologismi, scandalizzatore di folle patrie negli anni 50 per l’adozione della Y e della W.

Erano invece gli anni Settanta, quando Dario Argento ebbe un’intuizione e unì tutti questi puntini presenti sulla scena nel personaggio di Franco Arnò, un ex giornalista che vive di cruciverba. La prima soluzione che pronuncia nel film è: cibi. Ha la faccia di Karl Malden, premio Oscar per Un tram che si chiama desiderio e candidato pure per Fronte del porto. Franco è un non vedente. Una sera rientra a casa mano nella mano con la nipotina Lori, appoggiato al suo bastone bianco, e intercetta spizzichi di una conversazione tra due tipi seduti in una macchina. Ovviamente al buio. Parlano di un segreto, e dopo un po’ i presagi si trasformeranno in un omicidio.

I più audaci

È un mistero stesso la rivista. Qualche anno fa lo scrittore Giacomo Papi accennò un’indagine per il Post e scoprì in redazione una certa riservatezza. Pare sia il solo giornale che riesca a raggiungere tutte le edicole italiane. La prima copia uscì il 23 gennaio 1932, scritta in numeri (23-1-32) è una data palindroma, si legge allo stesso modo in un verso e nell’altro.

Più di tutti giocò con il thriller e con le parole Edward Powys Mathers, enigmista del settimanale inglese Observer. Con lo pseudonimo inquisitorio di Torquemada pubblicò un libro che stava appunto all’incrocio fra il giallo e i cruciverba. Fece stampare La mascella di Caino con le pagine in ordine sparso, sottraendo alla trama la linea del tempo e lasciando al lettore la scelta di sentirsi su un piano orizzontale, verticale, forse era obliquo. Ci sono sei cadaveri nella storia e bisogna muoversi con mente aperta, unendo i puntini alla Dario Argento col suo gatto a nove code, cercando un ordine, fingendo con sé stessi che ne esista ancora uno. Quattro anni fa, l’uscita di una nuova edizione venne accompagnata da un premio di mille sterline in palio per chi fosse stato in grado di risolvere il rompicapo. A quel punto si sono scatenati i booktoker, recensori e appassionati di libri che frequentano TikTok.

Se l’avessero detto a Sciascia, non ci avrebbe creduto. Cruciverba si intitolava il suo tentativo di utilizzare la storia come un enorme schema di parole crociate, un incrocio enciclopedico di eventi e personaggi che sono insieme montaggio cinematografico e architettura, arte del racconto, scomposizione, decoupage, cazzeggio. Pare che l’inventore di questo mondo sia stato un americano, così almeno ci tramandiamo per abitudine, mister Arthur Wynne, giornalista pure lui, autore di una mappa su cui i lettori dovettero piazzare a inizio Novecento una serie di parole sulla scorta di definizioni semplici. Gli aveva dato la forma di un diamante. Gli ultimi a rilanciare questo universo di rimandi fra crimini e cruciverba sono gli autori di The Crossword Mysteries, la serie tv in cui una redattrice di parole crociate (Tess) affianca un investigatore (Logan) nelle sue indagini.

Gli appassionati

Una volta Liliana Segre ha detto: «Faccio le parole crociate, perché non pongono il vero problema ma problemi più stupidi». Paolo Conte in un’intervista ha confessato che grazie a quei giochi gli è venuto di mettere in rima Bovindo e Tamarindo, oppure di cantare «il tempo fatto di attimi e settimane enigmistiche». Zazzarazzà. Elio Germano se ne portò una copia sotto braccio al Lido di Venezia, per la Mostra del cinema, mentre i Baustelle cantano «tesoro l'ho risolto l'anagramma, anzi, per meglio dire è stato lui, decifrandosi da sé». Gli anagrammi erano la passione di Gianni Mura e il più diabolico di tutti viene attribuito a Federico Zeri, che trasformò la stringa “On.Giulio Andreotti” in “Un gelido Totò Riina”.

Questo e altri aneddoti sono in L'orizzonte verticale (Einaudi), di Stefano Bartezzaghi, scrittore, semiologo, figlio di Piero e fratello di Alberto. Quando Umberto Eco intervenne alla presentazione del suo libro a Bologna, disse che «i cruciverba combattono la vecchiaia». Perché giocare alla fine è sopravvivere. L’Italia che risolve misteri intorno alla Settimana enigmistica è ancora quella dei pendolari e dei pensionati, dei bagnanti di luglio-agosto e delle professoresse d’italiano. Dalle cronache spaccacuore del lockdown, emerse che spesso le caselle bianconere erano la sola compagnia per molti anziani, in qualche caso era la pagina su cui lasciare un ultimo messaggio ai figli, prima di sentire che tutto sfumava, anche quest’ultimo mistero verticale di quattro lettere, per convenzione: vita.

© Riproduzione riservata