Da qualche parte, nel mondo, c’è un enorme quadro che ritrae mia madre con un casco di banane, dipinto da Jean-Michel Basquiat – sì, proprio lui – che vale milioni di dollari. L’ultima traccia che ho è una foto nel catalogo di Art Forum Thomas Munchen del 1988, poi più nulla: una tela di quattro metri e mezzo per due e mezzo, sparita. Immaginiamola appesa nella villa di un collezionista privato, una parete intera, un divano davanti (rosso, io lo avrei messo rosso) nessuna idea di chi fosse la donna con i ricci neri e del perché avesse accanto delle banane. Poi una telefonata – diciamo molte telefonate – e persone che arrivano a staccarla da muro (avrà lasciato il segno sulla parete?), imballarla, portarla in aeroporto, dove viene caricata su un aereo e poi su un furgone e quel “da qualche parte nel mondo” diventa una geolocalizzazione precisa: Svizzera, Basilea.

Dopo una vita di racconti dei miei genitori e tre anni di ricerche, tra poche settimane prenderò l’auto e guiderò fino alla Fondazione Beyeler, entrerò con il passo emozionato di quando sai che stai per incontrare qualcuno che ami e arrivata davanti al quadro potrò dire, finalmente, «ciao mamma».

Mia madre nel quadro

Io me lo ricordo, quando da piccola ascoltavo i racconti dei miei genitori, seduta a tavole piene di bottiglie di vino, amici e risate, e mio padre scherzando diceva Rossana ha fatto da modella a Basquiat e tutti restavano increduli e a lei si coloravano di rosso le guance e poi raccontava come c’era finita, in quel quadro, avvolta da un lenzuolo bianco e con un casco di banane in mano. Era la primavera del 1982, Jean-Michel Basquiat tornava a Modena per la seconda volta, ospite della Galleria di Emilio Mazzoli. Lui era diventato una star a New York con la gallerista Annina Nosei e questa mostra aveva il sapore della rivalsa dopo che un anno prima, sempre a Modena da Mazzoli, nessuno aveva capito il suo talento. Lo avevano perfino deriso.

Ora c’erano otto tele B20 della ditta Poggi di Roma – le stesse di Schifano, Picasso, De Chirico, Dalì, Morandi – che lo attendevano in un capannone per essere dipinte. Proprio lì, un giorno, entra mia madre, Rossana Sghedoni, che al tempo aveva 24 anni ed era l’assistente di Mazzoli, per controllare che tutto andasse bene. Basquiat era molto annoiato, lo stereo a tutto volume e metà delle tele ancora da finire (è una canna quella che sta tenendo in mano?).

Decidono di andare a fare acquisti in un negozio di colori, dove lui trova un espositore pieno di libretti che spiegano come disegnare l’arte classica italiana. Di quelli che si usano a scuola, per principianti. Basquiat li trova divertenti e li prende per studiarli, poi solleva lo sguardo e chiede a mia madre di posare come la modella di un’opera classica: avvolta in una tunica e con un casco di banane in mano. Se chiudo gli occhi la posso immaginare, mia madre, il corpo minuto, i capelli ricci a incorniciare un viso tondo, gli occhi verdi sbarrati, la mente che veloce pensa possibili vie di fuga. Vedo l’imbarazzo colorarle di rosso il volto, la voce, che vuole essere risoluta, uscirle incerta.

Immagino Jean-Michel percepire una crepa e iniziare a incanalarci la sua luce – irresistibile, irriverente, bellissima – convincendola con una risata. Vedo mia madre che guarda perplessa il lenzuolo bianco e il casco di banane. Poi la immagino sorridere, alla fine, quando rivedendosi nel quadro pensa che in fondo, nessuno la riconoscerà. (Io sì, mamma, io ti ho riconosciuta).

La “Serie Modenese”

La notizia di una mostra importante di Basquiat a Basilea la sento per la prima volta da Wainer Vaccari (un altro artista che espone da Mazzoli), la scorsa primavera, una mattina di quelle lente dove ci si incontra per caso tra le vie del centro storico di Modena. «Magari c’è il quadro di tua madre», mi dice e io rispondo che sarebbe bellissimo riuscire a trovarlo, alla fine. Ho sempre pensato che cercare quel quadro scomparso fosse un po’ come cercare lei ma non si può trovare qualcuno che non c’è più (anche se è ovunque e da nessuna parte) e così cerco il quadro, dove mia madre è immobile nel tempo e nello spazio, giovane e bellissima, pronta a condividere della vita insieme, un’avventura, un nuovo ricordo.

È diventato come l’ultima pagina di un libro, questo quadro, un lungo addio che in questi tre anni mi ha permesso di starle vicina, come quando in cucina chiacchieravamo chiudendo la porta e ridevamo delle piccole cose sorprendenti della vita. Cosa succederà se lo trovo? Dove la cercherò dopo? Qualche giorno più tardi arriva una notifica su Facebook: qualcuno ti ha taggato in un post. È un articolo sulla mostra di Basquiat a Basilea, alla Fondazione Beyeler. Il titolo non lascia dubbi: Modena Paintings.

Scorro l’articolo e leggo che la fondazione ha messo insieme le otto opere realizzate da Basquiat a Modena nel 1982, dentro quel capannone dove sfogliava i libretti per imparare a disegnare l’arte classica (quelli comperati insieme a mia madre), per quella mostra che all’ultimo minuto saltò e le cui opere sono state disperse tra musei e collezioni private. Nessuno le ha mai viste tutte insieme.

Tra loro ci sono alcuni dei quadri più famosi di Basquiat, come The guilt of gold teeth – conosciuto anche come il Barone Samedì –battuto all’asta nel 2021 per 40 milioni di dollari. Cerco la fondazione su Instagram, è un posto bellissimo  immerso nel verde, progettato da Renzo Piano. Trovo una mail e scrivo raccontando la mia storia, quella di mia madre e del quadro. Dico che ho scritto un libro sulla serie modenese di Basquiat, su come sono stati realizzati e di come mia madre è diventata la modella di uno degli artisti più importanti del mondo (Anna Ferri, Basquiat, viaggio in Italia di un formidabile genio, 2021, Aliberti Compagnia Editoriale) e gli chiedo se il quadro è tra le opere esposte. Invio. Mi risponderanno?

Il viaggio a Basilea

Oggetto: Basquiat. Vedo la mail un pomeriggio tardi, quando ormai credevo non sarebbe più arrivata. A scrivermi è Iris Hasler, una delle curatrici della mostra, che mi racconta di aver letto il libro nonostante il suo scarso italiano, di aver sempre pensato che la donna ritratta fosse Annina Nosei e che le piacerebbe incontrarmi per parlare della nostre ricerche. Mi conferma che il quadro è presente: «È il primo lavoro della mostra».

La Medusa nera, il ritratto di mia madre, è lì che mi aspetta. Poteva essere ovunque, è stato ovunque per anni, potevo scoprirlo a New York o a Tokyo, poteva riapparire in un luogo lontanissimo e più difficile da raggiungere  (ci sarei andata lo stesso, mi chiedo?) e invece è a sei ore di auto da casa, abbastanza vicino da pensare di fare un viaggio di famiglia, con mio marito e i bambini. Due di loro non l’hanno mai conosciuta e dirò loro: eccola lì, quella è la nonna.

Ci siederemo insieme su un divano (rosso, lo immagino rosso) e gli racconterò la storia di quando la loro nonna, giovanissima, aveva posato per uno dei più grandi artisti del mondo, avvolta in un lenzuolo bianco e con un casco di banane in mano.

E per un attimo mi piace immaginare che sarà come annullare lo spazio e ritrovarsi tutti insieme – nipoti, nonni, genitori, figli, senza età e senza tempo, tutti giovani e felici – intorno a uno di quei tavoli pieni di bottiglie di Lambrusco a scherzare su quella volta che Rossana, mia madre, ha fatto da modella a Basquiat.

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