La Biennale si apre con un sequel che compie la rara impresa di diventare una pietra miliare. E che celebra l’immaginario folle di un regista che fa la morale con la fantasia e non i pistolotti
Tim Burton è contento. Si vede. Da spettatori gli si vuol bene, e fa piacere. Non sto facendo psicologia d’accatto. Beetlejuice Beetlejuice (sottotitolo in calce 2024 D.C., rigorosamente inciso su immancabile lapide funeraria) trasuda allegria contagiosa, come e più dell’originale, il Beetlejuice del 1988. Lo “spiritello porcello” creato da un Burton trentenne alla prova del sequel non solo non delude, ma rassicura i fans sul buonumore, esistenziale e creativo, di un surreale poeta del gotico ma



