A fine gennaio, a Roma nello spazio europeo “Davide Sassoli”, un gruppo di esperti di inclusione scolastica (Iosa, Nutini, Chiocca, Ianes, Fazio, Striano, Fasce) ha presentato una proposta di legge sulla “Cattedra inclusiva”, che prevede due “ibridazioni” importanti: il docente di sostegno farà anche ore di insegnamento curricolari alla classe nella sua materia e simmetricamente il docente curricolare farà anche ore di sostegno, nella sua o in altre classi.

Questa proposta di legge prevede anche iniziative di formazione degli insegnanti curricolari e strutture stabili di supporto pedagogico a livello di scuola e di territorio.

I problemi e gli scenari

Ma quale è il senso pedagogico e politico di questa proposta? Due scenari rendono urgente e indifferibile una rigenerazione delle politiche e delle pratiche inclusive nella nostra scuola. («Ciò che non si rigenera, degenera…», diceva Edgar Morin).

Un primo scenario è quello ormai cronico e strutturale della crisi del “sistema sostegno”: come ogni anno l’Istat certifica vari aspetti di questa crisi. Dei 228mila insegnanti di sostegno oggi il 30 per cento non ha il titolo di specializzazione (42 per cento al nord, 15 nel mezzogiorno), le università non riescono a specializzare un numero sufficiente di insegnanti, si cronicizzano le situazioni di delega degli alunni/e con disabilità al solo insegnante di sostegno e di microesclusione nelle aulette di sostegno.

L’altro scenario è quello dell’inclusioscetticismo che si sta facendo sempre più preoccupante ed è stato sdoganato dagli interventi pubblici di Ernesto Galli Della Loggia, che ha dato voce, sulla scia delle posizioni politiche dell’ultra destra tedesca, a quegli insegnanti che non credono nell’inclusione o che non la vivono come possibile nella nostra scuola.

Due recenti sondaggi riscontrano percentuali di insegnanti inclusioscettici che variano dal 17 per cento (Erickson) al 40 per cento (Tecnica della scuola). A queste reali e quotidiane difficoltà di realizzare una buona inclusione cerca di dare un contributo concreto la cattedra inclusiva, perché mescola virtuosamente due competenze.

Da un lato l’insegnante curricolare porta la sua competenza didattica “ordinaria” verso attività di sostegno non più intese come attività speciali, dedicate solo all’alunno/a speciale, ma come didattica per tutti/e più inclusiva, differenziata, universale, personalizzabile strutturalmente.

Dall’altro lato l’insegnante di sostegno porta la sua attenzione e competenza specifica sulle modalità di apprendimento nelle situazioni difficili nella didattica ordinaria, curricolare per tutto il gruppo classe, facendola diventare più efficace e più inclusiva.

Questa modalità di mescolare parti curricolari e parti di sostegno nelle cattedre è ormai prassi sperimentata da almeno una decina di anni in varie scuole del nostro paese (si vedano ad esempio le esperienze della rete delle scuole senza zaino, solo per citarne alcune…) sia a livello di scuola primaria che secondaria, anche se ovviamente nella secondaria la complessità di questa organizzazione aumenta.

Le ricadute positive

Tra i motivi degli esiti positivi riscontrati dalle esperienze di cattedra inclusiva finora realizzati non vanno sottovalutate due ricadute cruciali: l’insegnante di sostegno si sente (ed è realmente) maggiormente valorizzato rispetto ai colleghi, alle famiglie e agli studenti/esse e gli insegnanti curricolari si sentono maggiormente corresponsabilizzati e coinvolti in una “funzione sostegno” che contribuiscono a diffondere nella didattica ordinaria, facendola uscire dalla separazione specialistica delle aulette di sostegno e dal rapporto individuale (talvolta ben poco inclusivo) tra insegnante di sostegno speciale ed alunno/a altrettanto speciale.

Questo binomio “speciale-speciale” è ormai un ostacolo chiarissimo allo sviluppo di una scuola inclusiva. La cattedra inclusiva, nel sondaggio Erickson dell’autunno 2023 su 3150 insegnanti, ha riscosso un consenso tra i curricolari del 74 per cento e tra gli insegnanti di sostegno dell’81 per cento (nella primaria mediamente l’82 per cento e nella secondaria il 74 per cento).

Forse la scuola italiana è pronta ad un’evoluzione qualitativa che la farebbe avvicinarsi ad un ideale di scuola inclusiva dove possa convivere rispettosamente in reciproca valorizzazione «l’infinita varietà delle differenze umane» (Fred Vargas).

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