Poco più di trent’anni fa, nel dicembre 1991, moriva a Correggio a pochi passi dal luogo in cui era nato Pier Vittorio Tondelli. Qualche anno dopo la sua nascita la famiglia si era trasferita in quel nuovo appartamento nel “grattacielo”, un palazzo più moderno costruito dall’altra parte della strada.

Oggi la vecchia casa è stata sostituita da una palazzina anni Novanta, ma la Cappelletta, che Tondelli ha descritto nel suo ultimo romanzo Camere Separate invece è ancora lì a fianco del parcheggio a lui intitolato, più volte ripulita e ritinteggiata dal comune da quando è diventato uno dei monumenti più famosi della città. 

Stimolare la depravazione

Aveva 36 anni. Negli undici precedenti, era stato protagonista di una breve e intensa parabola letteraria lasciando tre romanzi (Pao Pao, Rimini e appunto Camere separate), un testo teatrale (Dinner Party), una ricca produzione di articoli giornalistici e riflessioni, la direzione di tre antologie di giovani narratori (il progetto Under 25), la fondazione assieme ad altri autori della rivista Panta e altri testi pubblicati postumi.

Nel 1980, quando ancora frequentava il Dams a Bologna, aveva ottenuto un inaspettato successo con Altri libertini: sei crudi ritratti di una giovinezza esuberante e orgogliosamente ai margini, che dell’essere altro e diverso rispetto al conformismo dei genitori, del cattolicesimo, della cultura comunista ne faceva un valore.

Secondo il classico copione italiano, il libro fu censurato perché accusato, nelle parole del procuratore generale dell’Aquila che ne aveva ordinato il sequestro, di stimolare la «depravazione sessuale» e il «disprezzo della religione cattolica».

Profonda provincia

Considerato dalla critica come un fenomeno passeggero, dopo la sua scomparsa Tondelli è diventato quasi un oggetto di culto, circondato da tutta una aneddotica “devozionale” più o meno attendibile, continuando tuttavia a scontare lo stigma dell’epoca: l’essere considerato soltanto lo scrittore “degli anni Ottanta”. Come se Martin Amis fosse meno interessante perché ha “soltanto” raccontato le rogne della Londra del thatcherismo. O Luciano Bianciardi e Pier Paolo Pasolini quelle del miracolo economico.

In quell’angolo di Correggio vicino alla Cappelletta sulla strada per Carpi, dove Tondelli è tornato nei suoi ultimi anni, era cresciuto e vi aveva vissuto fino al trasferimento a Bologna, in via Fondazza. Non è esattamente “in centro” quell’area; una zona appena fuori, ai margini della città storica ma non così lontano da poter essere considerata un “altrove”, una periferia.

Lì vicino, partivano e arrivavano le “corriere” blu dell’Atcm, l’Azienda trasporti collettivi e mobilità, simbolo e strumento della speranza di “andarsene” per intere generazioni di giovani delle province di Modena e Reggio Emilia. C’erano anche quelle per Carpi, altra cittadina prototipo della provincia emiliana ma più ricca e di successo rispetto a quegli “sfigati” di Correggio.

New money” per usare un’espressione di Francis Scott Fitzgerald, anche se amministrata dalle tanto celebrate “giunte rosse”; tuttavia pur sempre profonda provincia con tutte le dinamiche di una piccola borghesia arricchita grazie al boom ma con ancora «i vestiti che puzzavano di soffritto». Karpi Karpi, la chiamava Tondelli, dove anche le operaie avevano il pellicciotto. Non credo esista descrizione migliore della forza e debolezza del riformismo comunista emiliano. Anche per poter arrivare nella “Bologna party-giana”, rigorosamente con la ipsilon come la indica Tondelli in Un week end post-moderno, si doveva prima prendere in quel piazzale la corriera che portava alla stazione dei treni.

Periferie

Sono convinta che sia stata questa triangolazione fra diversi gradi di periferie materiali e dell’esistenza, fra una moltitudine di tanti “altrove” fra di loro relativi e subordinati a un ulteriore luogo un po’ più lontano, gregari di una città più grande o di una metropoli più eccitante il vero motivo per cui i suoi libri hanno parlato così potenti anche a me, che non condividevo con lui o con la sua generazione né esperienze né scoperte.

Solo luoghi che diventavano territori delle emozioni e della mente, in cui si era allo stesso tempo dentro e fuori, si stava ai margini ma non esclusi, si era alla ricerca di una fuga, ma con lo sguardo all’indietro. Quella provincia appartata ma non isolata, fitta di orizzonti ma piatta. Un po’ come quel piazzale da cui partivano le corriere.

Io abitavo a Carpi, poi mi sono trasferita a Correggio prima di andare a Bologna; ma non cambia di molto. A dividere Carpi e Correggio c’è la “Brennero”, l’autostrada A22 che porta a nord, promessa di modernità e libertà come in uno dei passi più belli del suo primo libro quando immagina di percorrere in un solo giorno la distanza da Carpi fino all’Olanda, ad Amsterdam, al mare del nord.

Il freddo dentro

Se tutte le province felici si somigliano, ogni provincia infelice è invece infelice a modo suo. Quella di Tondelli, e anche la mia, non è dunque la provincia emiliana del patriottismo della mortadella o dei motori, non è nemmeno l’Emilia ascetica o moralista del progressismo catto-comunista.

La sua provincia è noia e angoscia, dove l’umidità non ti lascia mai e accompagna la tua “scoglionatura” in inverno sotto i portici gelati o in estate a Rimini, quando pedali sul ciglio della strada e il freddo ti entra dentro a partire dalla schiena o quando guidi di notte coi finestrini aperti verso nord per prendere il fresco.

Non è il racconto di un autocompiacimento provinciale, di una piccola patria, ma al contrario la provincia di Tondelli, e anche la mia, è una categoria ermeneutica attraverso la quale guardare e cambiare il mondo. Era questo l’impegno politico per Tondelli? Non lo so, ma io lo leggevo in questo modo.

L’idea che la letteratura di Tondelli sia anti-ideologica e dunque anti-politica è stata per fortuna superata dalla critica. Del resto, è lo stesso Tondelli a confermarlo ne Il mestiere di scrittore: «Essere impegnato per me vuol dire far scoprire cosa significa seguire la propria natura e il proprio istinto, saper essere pieni di desiderio e voglia di cambiare il mondo, anche se io non posso dire in che modo».

Cosa avrebbe detto 

L’anniversario della sua scomparsa lo scorso 16 dicembre è stato anche per me l’occasione per riprendere in mano i suoi libri, ora che vivo in uno di quei nord e ho fatto pace con la mia provincia, anche grazie a lui. Credo sarebbe felice di sapere di aver contribuito con le sue storie. Non so se, come è stato da tanti scritto, Tondelli rappresenti la grande occasione mancata della narrativa italiana, l’ultimo autore compiutamente internazionale perché possedeva il tono, il respiro e l’ambizione di confrontarsi coi giganti. Credo, però, che la sua prematura scomparsa abbia mutilato la crescita culturale e pubblica del paese.

Avrei tanto voluto leggere i suoi commenti sul fenomeno Elena Ferrante e Zerocalcare; sulla trap italiana e i talent show; sugli autori che aprono costose scuole di scrittura e su Netflix. Come quando accade un fatto importante e pensi a cosa avrebbe detto il tuo professore dell’università, quello che ti ha insegnato a guardare il mondo con un paio di occhiali diversi, io vorrei leggere come Tondelli commenterebbe il dibattito sulla fuga dei cervelli o la ricomparsa del familismo italiano come valore, cosa avrebbe scritto dell’ennesima bocciatura della legge Zan e della maledizione italiana ad arrivare sempre fuori tempo massimo sulle questioni Lgbt.

Oppure con quale nuovo neologismo avrebbe riassunto il declino irreversibile del modello emiliano, l’elezione del primo sindaco non comunista a Bologna e del primo sindaco cattolico a Reggio Emilia. Come avrebbe raccontato le conseguenze della liquefazione della cultura comunista nell’editoria o l’uso politico delle parolacce da parte di Beppe Grillo. O i film di Paolo Sorrentino e i libri di Antonio Scurati e l’apertura di un ristorante sushi a Correggio.

Trent’anni dopo

In occasione dell’anniversario della sua scomparsa, i comuni di Correggio e Reggio Emilia hanno dedicato due giorni di eventi e approfondimento sullo scrittore con seminari e letture, la proiezione di un nuovo documentario, Ciao Libertini! Gli anni Ottanta secondo Pier Vittorio Tondelli prodotto da Sky Arte e la presentazione del volume Viaggiatore Solitario che raccoglie le sue interviste e conversazioni, uscito lo scorso ottobre per Bompiani.

Immancabile l’intervento di Luciano Ligabue, questa volta sul palco del teatro Ariosto di Reggio in dialogo con Gabriele Romagnoli, che aveva esordito nel 1986 in Giovani Blues, la prima antologia del progetto Under 25, affiancati dal direttore di Civiltà cattolica Antonio Spadaro, influente testimone della recente tendenza a considerare l’opera di Tondelli, dopo che per lungo tempo la Chiesa e il cattolicesimo ufficiale la avevano messa all’indice per oscenità, come un esempio di "attesa di salvezza” e di “dignità sofferente”; stando almeno alle parole di Spadaro. Chissà se e come Pier avrebbe raccontato la serata in uno dei suoi articoli.

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