La Puglia – o meglio la persona pugliese – ha assunto un ruolo centrale nel mondo della comicità italiana. Checco Zalone ha lanciato il nuovo irriverente singolo La Vacinada (che nel giro di pochi giorni ha totalizzato quasi tre milioni di visualizzazioni su YouTube); il duo Pio & Amedeo ha occupato il dibattito pubblico per via di un monologo che, trasmesso in prima serata su Mediaset, ha provato a problematizzare il concetto di politically correct (raccogliendo plausi – da Achille Lauro a Matteo Salvini – e generando non poche polemiche). I numeri parlano chiaro: questa comicità, che pare discendere direttamente dal Lino Banfi del trash ottantiano, ha successo. Ma perché?

Risponde a un’esigenza atavica degli italiani e delle italiane: immedesimarsi in un everyman che metta in scena assurdamente i molti vizi e le poche (bonarie) virtù che accomunano il popolo del bel paese. Questo everyman, all’altezza dei nostri anni Venti, è rintracciabile anche nel “cozzalone” pugliese, nel “poppito”, ossia un soggetto che viene da una realtà dove le buone norme dell’urbanità non regnano sovrane (la parola “poppito” deriva non a caso da “post oppidum” – “fuori le mura”). Il cozzalone di Puglia, grazie al suo essere genuinamente ruspante e terra-terra, esprime l’anima indomata del paese, i suoi aspetti più urticanti. Quelli grotteschi. Solo esistendo, causa goffi scontri culturali.

Lo vediamo all’opera: e piace, moltissimo. Oggi il popolo premia le battute sempliciotte scandite in dialetto, divertendosi davanti agli stereotipi nati da un territorio, quello pugliese, che mai come adesso sembra rappresentare l’anima della gente. La Puglia, così, è un palco dove donne corpulente sono protagoniste di matrimoni spassosamente beceri, dove si può ambientare un surreale corteggiamento tra un indigeno apulo ed Helen Mirren.

Questa comicità ondeggia in straordinario equilibrio tra orrore trash e accoglimento di istanze collettive. Il fatto nuovo è che siano artisti pugliesi ad allestirla. Dopo la Campania, dopo la Sicilia, adesso è un’altra porzione di sud che assume lo statuto di maschera che (come per “la Locura” teorizzata nella serie tv Boris) si sfoga e ci appaga, esorcizzando le brutture di cui si è capaci: la mansione che, come spesso Carmelo Bene ha ripetuto, è appartenuta ai giullari, ai buffi – mentre gli autori di commedie, un tempo, si occupavano di altro.

Cultura-bordello

Nel 2021 tocca dunque ai buffi pugliesi ricoprire il compito di allietare le corti affacciate sui tubi, catodici o digitali. Sempre il salentino Bene ci viene in aiuto per comprendere perché la Puglia si presta così efficacemente al compito: in un’intervista del 1995 disse della sua terra: «È tutto un fatto speciale, un fatto a sé, una cultura-bordello con un cattolicesimo tollerante che poggia sul vuoto». Insomma: la Puglia, da sempre, è stata quello che l’Italia sembra essere divenuta oggi.

A prescindere dalle intenzioni dei comici, sia la superficialità godibile di Pio & Amedeo sia la sagacia critica di Zalone camuffata da crassa ignoranza, fungono da specchio per una grande fetta generazionale di questa nazione. In un mondo in cui tutto è impegno inesausto, in cui ogni forma artistica sembra avere come unico obiettivo quello di riparare il mondo (come con grande puntualità fa notare Walter Siti nel suo recente libro Contro l’impegno, edito da Rizzoli), le voci provenienti da una periferia – geografica e culturale – sembrano essere, per quelli che qualcuno chiama “italiani medi”, un punto di decompressione: la comicità dei pugliesi è un ritratto dei nostri difetti e suscita anche un senso di leggero abbandono, consentendo di abbrancarsi al novecentesco dettame ridanciano del «e fattela una risata!».

Al di là di quello che fa più clamore, nella stessa tempo-linea, esistono risposte artistiche opposte rispetto a questa comicità. Opere, insomma, che provano a ridimensionare questa enfatizzazione stereotipica che vuole l’Italia divisa per regioni: si pensi a Emanuela Fanelli con il suo geniale capovolgimento della «Roma bella nostra» durante il programma su Rai 2 Una pezza di Lundini; o al più sottile ma gustosissimo operato di Edoardo Ferrario e Luca Ravenna nel loro Cachemire Podcast, dove i due stand-up comedian offrono spesso esilaranti argomentazioni sui luoghi comuni che attraversano l’Italia. Si tratta di forme comiche che prendono vita da generazioni più recenti e che, tendenzialmente, si rivolgono ai propri coetanei – cioè a una minoranza italiana: i giovani.

Nel caso di Cachemire Podcast si tratta addirittura di spazi di intrattenimento collocati fuori da ogni media tradizionale, YouTube e Spotify – spazi digitali quasi impenetrabili per certe fasce d’età. Questo gap generazionale tra i fruitori di contesti comici è simile anche a un altro divario: quello tutto pugliese dove, alle narrazioni stereotipiche dei comici del momento, vengono contrapposti addirittura episodi culturali (letterari) di assoluto valore – come l’ultimo romanzo di Mario Desiati, Spatriati (Einaudi, 2021), che ritrae splendidamente figure umane che in poche pagine annichiliscono ogni retorica sulla provincia pugliese tutta sorrisi-cibo-canzoni-battute; o i testi in cui il racconto di questo territorio si fa base fertile per riflessioni antropologiche, come avviene nel romanzo Murene di Manuela Antonucci (Italo Svevo, 2020) o nel saggio di Paolo Pecere Il dio che danza (Nottetempo, 2021).

In provincia di Lecce, dove sono nato e cresciuto, era (forse è ancora) estremamente normalizzato e diffuso appellare con l’aggettivo «ricchione» qualcuno – io, ad esempio, sono stato chiamato diverse volte così quando, mentre tutti parlavano in dialetto, mi esprimevo in italiano. L’atteggiamento alla base di questa azione verbale è quasi sempre bonario, scherzoso, leggero, ed è spesso condiviso tra chi enuncia l’insulto e chi lo riceve – tanto da, teoricamente, depotenziare lo statuto offensivo della parola.

Voler fare come i pugliesi

Bene: questo tipo di comportamento è quello che molte persone oggi sembrano voler fare proprio, abbracciando con entusiasmo l’intrattenimento dei comici pugliesi. Sembra configurarsi un voler “fare come i pugliesi” per alleggerire le dinamiche quotidiane caratterizzate da richieste sociali inedite ai più – come, ad esempio, il fatto che gli omosessuali siano «gente tali e quali come noi», cantava proprio Zalone anni fa.

In questo caso però, la Puglia diventa un vero e proprio dispositivo retorico. E bisogna essere sinceri: lo è. Dietro il dito massiccio dell’ironia si può arrivare a nascondere di tutto: si rischia di arrivare a dire che lo scherzo sia l’unico mezzo con cui affrontare i drammi personali causati da arretratezze sociali. Si rischia di arrivare a giustificare chi, dietro la maschera dello scherzo, usa parole come «frocio» e «negro».

La verità è che in quelle maschere non c’è l’everyman italiano. Non tutti le sentono proprie. Non tutti vogliono ridere. Ci sono altre persone – sicuramente un numero inferiore, perché nate in anni più recenti – che in quel «ricchione» continuano a vedere lo spettro di un’umanità che sminuisce ogni pluralità; così come ci sono persone che, in quell’accento forzatamente sguaiato, sentono la voce di un distacco generazionale ormai irrimediabile.

E dunque, sì: evviva la Puglia, evviva le risate, evviva i tormentoni estivi, evviva i comici in televisione. Però c’è qualcosa da chiarire alle persone che, grazie al cielo, vivono in questo mondo da più di cinquant’anni. Ed è un messaggio da rivolgere più agli spettatori che ai comici. Pure noi (pochi) giovani di questo paese ce la facciamo, una risata: ma fateci ridere per quello che vogliamo noi, non per quello che fa divertire voi. Capiamo la differenza tra comico e incivile, tra esagerazione artistica e atto deleterio. Noi (pochissimi) giovani pugliesi la amiamo, questa terra: ma permetteteci di non sentire come accettabili gli insulti camuffati da scherzo, la battuta superficiale a ogni costo e le mascheracce da “cozzaloni” o “poppiti” dietro le quali, sinceramente, non so se abbiamo voglia di nasconderci.  

 

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